Io non so se sono arrogante a pensare quanto segue ma tant'è.

Ieri, girando per il budello di Cascais (Portogallo) osservavo le persone intorno a me, in un atmosfera che mi ricordava l'infanzia in estate passata in Liguria con tutti in costume e in mood da spiaggia quando ad un certo punto, un lampo sotto forma di idea mi colpisce "e se… e se tutte queste persone fossero animate dalla stessa cosa che anima me, che sarebbe perciò capace di esperire attraverso ognuno una porzione leggermente diversa di realtà, essendo però anche capace di darci e di darsi l'illusione che ognuno sia dotato di una coscienza separata dal resto delle persone?"

Ridacchio mentre cammino e mi guardo intorno. E' una risata a metà strada tra il nervoso per aver concepito un'idea un po' fuori dal consueto e l'impaziente di continuare nell'indagine del pensiero. Quindi mi rigetto a capofitto nel flusso. "Questo vorrebbe dire che siamo tutti la stessa cosa. Nel vero senso della frase. Vorrebbe dire che tutti condividiamo la stessa parte non fisica, anzi di più, cioè che non solo la condividiamo, ma che siamo esattamente la stessa cosa, o, per rendere un po' meglio l'idea, la stessa 'persona'"(ovviamente il termine non si riferisce all'usuale utilizzo che se ne fa, cerco di creare un'immagine il più vicino possibile alla sensazione che ne ho). 

Qualche giorno prima guardando una puntata di Rick e Morty, celebre cartone animato in cui un geniale scienziato col vizio di bere e suo nipote vanno a spasso attraverso i mondi e le dimensioni vivendo mirabolanti peripezie, mi imbatto in una puntata in cui si parla di un concetto simile, Unità, un'entità che appunto permea tutti i corpi di una certa specie aliena, parlando attraverso le labbra di tutti e interagendo con Rick, Morty e la sorella che poi scateneranno una guerra civile sciogliendo l'incantesimo di Unità e facendo notare a tutti le differenze che li distinguono fomentando l'odio e le scorribande.

La mia idea è un po' diversa. Prima di tutto noi non saremmo mossi come burattini da questa ipotetica entità, ma come tutte le teorie riguardo l'origine della coscienza, anche questa non è provabile scientificamente, per il semplice motivo che nessuno può uscire dall'Esistenza, guardarci dentro studiandola e paragonandola a qualcos'altro per poi fare ritorno con la risposta. Nessuno è in grado di "snocciolare" la sua essenza in maniera da osservarne il fulcro essendone intrinsecamente parte: (fino a prova contraria) è parte del gioco, del compromesso per poter stare al suo interno godendo delle sue bellezze. Come si fa quindi a giudicare una teoria 'astratta', migliore o peggiore di un'altra?

Per dare una risposta, come spesso succede, mi sono posto una domanda: Posso io provare di essere vivo? Nel senso di, posso provare scientificamente la mia esistenza? Ovviamente no. Niente allarmismi alla Matrix, solo pura logica. In fin dei conti che sia 'realmente' vivo oppure no, poco importa, nella misura in cui so che tutti gli eventi della mia vita, da quando mi sveglio a quando vado a dormire ogni giorno, mi sembreranno per lo meno ripetersi con buona fluidità (salvo patologie neurali, e qui tocco 'ferro') finché non mi spegnerò.

Questo cosa comporta? Prima di tutto che il fatto che siamo vivi e che tutto ciò che esperiamo 'esista' e 'sia vero' si basi su una "concordanza" di tutti(o quasi) i prendenti parte a questo dubbio. Infatti se tutti per assurdo credessimo di non esistere, qualunque cosa questo voglia dire, molti se non tutti tenderebbero a credere a questa corrente di pensiero, con tutte le conseguenze su società e tutti gli aspetti in lei coinvolti che questo avrebbe. L'idea della maggioranza vince sempre perché a livello statistico è certamente più probabile che sia virale, con una probabilità assai più alta di ogni minoranza concorrente, così quando una minoranza diventa maggioranza, ricade nella dinamica dell'ipotesi statistica sopra citata, riconfermandola e facendone una "ipotesi certa". 

Questo quadro rende abbastanza chiaro perciò che nemmeno il concetto di esistenza è tanto "tangibile" quanto in precedenza si era creduto. E' un costrutto che, come tutto, ci dà la parvenza di essere in possesso di una nozione molto vicina alla verità in quanto spesso il dubbio spaventa perché sinonimo di oscuro, di minaccioso. Il nostro cervello teme quello che non capisce, e dopo esserne spaventato, tenta di studiarlo e comprenderlo per renderlo più "amichevole" ai suoi occhi, ed eventualmente anche utile.

Così, mi trovo nella piazzetta di Cascais, attendendo il mio amico Riccardo, in costume (sia io che lui che vi stavate chiedendo chi), che cammino come un ossesso avanti e ndrè  cercando di non farmi sfuggire nulla in quel momento di iper-attività cerebrale che potrebbe essermi utile per giungere a una conclusione prima dell'arrivo di Ricky e del relax sotto l'ombrellone. Perciò dopo il momento di pausa mi rigetto nell'alta corrente sinaptica e proseguo.

"Molto bene. Molto molto bene. Quindi non importa se io esista o no, perché non posso definire scientificamente cosa vuol dire esistere, e nessuna teoria in merito può essere provata. Ottimo. Quindi come avvaloro la mia ipotesi? Non voglio arrivare ad una conclusione mosso solo dalla concezione orgogliosa ed arrogante che siccome l'idea l'ho avuta io, allora deve essere per forza corretta in qualche modo, se sarà coerente bene, altrimenti la scarterò e avanti come al solito, l'onestà intellettuale prima di tutto.

Ok. Mi sembra corretto. Allora, entità che prende vita ed alimenta tutti i corpi senzienti sapendo però offrire ad ogni corpo la sensazione di essere staccato dal resto in termini di percezione, anche se codesta cosa esperirebbe tutto nel medesimo momento, in ogni momento, perché? perché dovrebbe farlo? ..Ma certo! L'essere umano è drogato di sensazioni, tutti gli esseri viventi senzienti lo sono, e lottano con il resto del pianeta per rimanere più a lungo nella Disneyland sensoriale, anche a costo di sporcarsi le mani. Quindi è plausibile pensare che la madre di tutte le entità senzienti agisca sotto lo stesso principio che poi è il principio che muove tutto.

In tutto ciò la materia si incastra perfettamente. Basta pensarci. L'esistenza è il più grosso patto mai stipulato tra due parti che, concordanti sugli obiettivi comuni, danno vita alla più maestosa opera mai realizzata. La buona vecchia materia qui, gioca il ruolo dell'ingegnere naturale di tutte le cose, fautrice dell'invenzione più alta e nobile che sia mai stata concepita, e cioè sé stessa. Pensateci. La materia è la metafora reale del concetto di Dinamo, una forma/fonte di energia che si auto-sostenta solo con l'insieme delle sue parti senza aiuti esterni e senza sprechi. Questo per dare all'entità che tutto accende e che tutto ravviva, quella che conosciamo col nome di coscienza, l'opportunità di farlo il più a lungo possibile, nel caso, all'infinito. Quindi i nostri corpi ora non sarebbero più nostri, ma del tutto, e la nostra coscienza sarebbe in realtà la nostra nel senso collettivo del termine. Questo avrebbe gigantesche implicazioni al livello di qualsiasi cosa. Perché con questo approccio unitario alla vita, avremmo un senso di coesione che abbraccia non solo l'umanità tutta, ma anche tutto ciò che esiste, e conosceremmo nuovi modi per chiamare dei fenomeni che oggi consideriamo e osserviamo ancora con occhi ancestrali. Pensiamo alla morte. Cosa vorrebbe dire morte in questo contesto se non "lasciare che il proprio corpo torni a far parte del flusso di riciclo naturale delle cose per dare opportunità al tutto di compiersi in armonia con le sue regole"? Quale sollievo sarebbe sapere che in realtà noi non esistiamo solo come quello che conosciamo come me e te, ora e adesso, ma che in realtà abbiamo infinite chance di esperire costantemente tutta l'esistenza dall'inizio dei tempi fino alla fine perché siamo tutti in realtà tutta la coscienza all'unisono? Siamo sempre stati qui, e sempre saremo qui, così come siamo ognuno dentro ognuno nel medesimo istante, soltanto incapaci di provarlo a livello sensoriale in quanto sarebbe troppo chiedere alla materia(per adesso) di ingegnarsi a costruire un solo, unico cervello capace di aderire all'influsso di tante informazioni, processarle e contenerle in sé in quanto unità. Una dimostrazione forse dell'efficienza della decentralizzazione del potere e del dovere, una lezione tanto nascosta quanto preziosa."

 A questo punto mi muovo verso l'entrata della stazione del treno, fa troppo caldo ed ho bisogno di ombra, il mio cervello sta friggendo per lo sforzo e per il calore del sole. Riccardo non arriva, meglio, ho ancora del tempo per delineare un po' la teoria.

"Politica. Da questo punto di vista tutti, una volta a conoscenza di questa nozione fondamentale, tutti avrebbero finalmente pari diritto al voto riguardo questioni che a questo punto sarebbero sia globali che locali, perché essendo una specie intelligente sappiamo che le micro-comunità hanno più successo in termini di salute e qualità della vita rispetto alle macro, ma solo se ben innestate in un quadro generale estremamente fluido e comunicante: abbiamo internet, perché non usarlo per farlo diventare la piattaforma dove prendere le decisioni in maniera realmente democratica? Tipo, miliardi di persone che danno un'opinione riguardo un argomento, ed altrettanti algoritmi e super computer che valutano le risposte restituendo solo l'esatto numero di scenari che tenendo conto di tutti gli input e mischiandoli ad arte, ottimizzano al 100%(non ho il simbolo di infinito per infinito che avrebbe reso meglio l'idea di meglio) gli output, lasciando agli umani il compito di giudicare votando a maggioranza (rispettando i valori della democrazia) se e quali di questi sia meglio applicare. 

Così, anche ogni corpo come sopra detto, non essendo più proprietà esclusiva del punto spazio-temporale di coscienza che lo abita, andrebbe rispettato in quanto bene della comunità di ovunque e di sempre, e profanarlo in qualsiasi modo sarebbe l'equivalente di quello che oggi noi consideriamo come reato, che invece di essere punito con l'isolamento dalla società o con la violenza psicologica e non, verrebbe trattato come uno squilibrio al quale dare sostegno, perché si sa che ogni azione che arrechi danno a sé stessi o agli altri cela in realtà dietro sé un conflitto irrisolto che non è stato considerato e nutrito a sufficienza, come una mancanza o una delusione, sofferenza in generale."

Arrivato a questo punto penso "perché no?".

L'unica spiegazione che sappia dare alla domanda, 'quale valore aggiunge questo approccio rispetto a quelli finora esplorati ?' è che questo, banalmente, è ancora intentato e sembra in accordo con molti dei punti di sviluppo che vedono l'umanità coinvolta da qualche centinaio d'anni a questa parte.

E' come se, mentre acquisiamo conoscenze e capacità quasi divine in ambito di sviluppo tecnologico, stessimo lasciando indietro qualcosa di estremamente necessario alla sostenibilità di quest'ultimo, ovvero una fitta rete sociale globale, una matrice, che funga da collante per il tutto e che fluidifichi il processo appianando i conflitti e fornendo una risposta ai grossi problemi che minacciano la permanenza della specie sul pianeta.

Finalmente arriva Riccardo, e posso anch'io andare a godermi un po' di sole e mare in quel di Cascais, che peraltro se non ci siete mai stati è uno spettacolo, andateci.