Questo giovedì,  il tribunale di Locri ha condannato l'ex sindaco di Riace, Domenico Lucano, a 13 anni e due mesi con la sentenza di primo grado relativo al processo «Xenia», per presunti illeciti nella gestione dei migranti.

La sentenza di condanna che i giudici hanno praticamente raddoppiato, visto che la pubblica accusa  chiedeva 7 anni e 11 mesi, impone a Lucano anche la restituzione di 500mila euro relativi ai finanziamenti ricevuti dall'Unione Europea e dal Governo.

"Difficile capire. Forse impossibile spiegare", così Gianni Cuperlo ha commentato gli oltre 13 anni di reclusione inflitti a Lucano per aver cercato, nello stesso tempo, di aiutare delle persone in difficoltà e di far rinascere un paese che stava pian piano scomparendo. Lo stesso Cuperlo ha poi chiarito:

"La condanna di Mimmo Lucano a tredici anni e due mesi di reclusione sovverte ogni premessa o presupposto che si potevano ragionevolmente immaginare alla vigilia di una sentenza attesa. Non è solo l'enormità della condanna in sé, il numero di anni che i giudici hanno ritenuto di comminare a fronte di una richiesta del pubblico ministero che si limitava (si fa per dire) a una pena di sette anni e undici mesi. Parliamo concretamente di un caso non frequente dove la sentenza tende quasi a raddoppiare la pena richiesta dall'accusa.Ma persino aldilà dello sconcerto per una “risposta dello Stato“ che pare assurda e spropositata rispetto alla vicenda che ha visto Mimmo Lucano protagonista, la prima reazione è di interrogarsi a fondo sul contesto, il clima che ha contrassegnato negli anni l'attenzione pubblica attorno a quella esperienza che per moltissimi rimane nulla più e nulla meno che un avamposto sperimentale di accoglienza e solidarietà.L'impressione, al netto dell'esito di questo primo passaggio processuale, è stata di una vera campagna di denigrazione e delegittimazione dello sforzo di una comunità, a partire da chi all'epoca aveva il compito di rappresentarla. Lo sforzo di invertire una prassi e un metodo fondati sul respingimento di corpi, vite, sofferenze offrendo, al contrario, una modalità costruita sull'ascolto, l'inserimento, la dignità.Come si usa dire in questi casi, come si deve dire in questi casi, sarà necessario leggere le motivazioni di una sentenza tanto severa e punitiva.Ma ciò che si può dire, nel più classico rispetto della magistratura e delle sue prerogative, e che la parabola di un uomo impegnato in una forma pubblica, dunque sotto gli occhi di chiunque, a trovare una via di rispetto umano verso “l'altro” da noi, bene quella ricerca faticosa e non scontata trova in una giornata per molte ragioni buia la risposta meno umana che si potesse ipotizzare.Tacere su questa realtà non sarebbe un bene per la stessa giustizia che ogni cittadino ha il diritto di rivendicare per sé e per gli altri. Adesso la battaglia di Mimmo Lucano proseguirà come è naturale che sia nella speranza, vorrei fosse la convinzione, che un esito diverso possa ancora realizzarsi e che una storia “bella“ non debba per forza concludersi con una “brutta” fine".

E Lucano come ha accolto la sentenza? Queste le parole rilasciate al quotidiano calabrese LaCnews24.it:

"È un momento difficile, mi aspettavo una formula ampia di assoluzione. Non mi aspettavo questa sentenza. Io non ho niente. Mia moglie fa un lavoro umile pulendo le case delle persone [anche lei condannata a 4 anni e 10 mesi, ndr]. Mi sono schierato dalla parte degli umili, ho immaginato di partecipare al riscatto della mia terra. Oggi però per me finisce tutto, è stata pesantissima. Non so se per i delitti di mafia ci sono pene simili. Per me è un momento difficile, non so cosa farò. Io non avevo i soldi per pagare gli avvocati, dovevo nominarmi un avvocato d’ufficio. Non potevo permettermi degli avvocati e devo tutto a loro [in primis l’avvocato Mazzone, ndr]. Oggi posso dirlo, non sto fingendo, sto dicendo delle cose vere. Tutte le persone che mi sono state vicine, anche i magistrati mi hanno espresso solidarietà per una vicenda inaudita. E questo oggi è l’epilogo". 

Quale sia il perché della condanna e della sua durezza lo diranno le motivazioni della sentenza. Solo così riusciremo a capire come sia stato possibile condannare a oltre tredici anni di carcere una persona, come Mimmo Lucano, che vive in povertà e che non ha avuto alcun vantaggio patrimoniale e non dal ricoprire l'incarico di sindaco di Riace, che si è sempre impegnato per la sua comunità, cercando di accogliere e integrare bambini, donne e uomini che sono arrivati nel nostro Paese per scappare dalle guerre, dalle torture e dalla fame. 

Fatti, questi, emersi anche nei due anni del dibattimento e che per i giudici, evidentemente, hanno rappresentato una colpa!