La scorsa settimana, in Libia, sono iniziati a Tarhuna, una città a 65 km a sud-est di Tripoli, dei violenti scontri che messo uno contro l'altro la Settima Brigata, o Kaniyat, e le Brigate dei rivoluzionari di Tripoli (TRB) e dei Nawasi, due dei più grandi gruppi armati della capitale.

Il governo appoggiato dall'ONU con sede a Tripoli, guidato dal premier Fayez al Sarraj, ha dichiarato lo stato di emergenza nella capitale "data la gravità della situazione attuale".

Qual è stato delle cose a Tripoli? Il governo al Sarraj è formalmente responsabile dello Stato libico (a almeno della metà che dovrebbe controllare), ma nella realtà dei fatti è solamente alleato con i gruppi armati che risiedono a Tripoli e che operano in totale autonomia, in base alle convenienze del momento.

I combattimenti, che si sono estesi fino ad interessare la capitale, hanno coinvolto numerose zone residenziali causando un numero di vittime che, in base alle ultime notizie, si aggira intorno ai 50, mentre supera abbondantemente il centinaio quello dei feriti.

Gli scontri, come sottolinea Medici Senza Frontiere, hanno ulteriormente compromesso la vita di circa 8.000 rifugiati, richiedenti asilo e migranti, intrappolati e detenuti arbitrariamente nei centri di detenzione in città.

Alcuni di loro sono rimasti rinchiusi per oltre 48 ore in un’area colpita dai pesanti scontri senza avere accesso al cibo.

Coloro che sono stati rilasciati non hanno avuto altra scelta se non quella di fuggire nei quartieri vicini correndo il rischio di essere vittime del fuoco incrociato.

Questo è quanto ha dichiarato Ibrahim Younis, Capomissione in Libia della Ong:

«I recenti scontri dimostrano come la Libia non sia un luogo sicuro per i migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Molti sono fuggiti da paesi devastati dalla guerra o hanno trascorso mesi detenuti in condizioni orribili nelle mani dei trafficanti di esseri umani prima di essere trasferiti in questi centri di detenzione.Queste persone, già estremamente vulnerabili, si trovano adesso intrappolate in un altro conflitto senza la possibilità di fuggire. Non dovrebbero essere prigionieri semplicemente perché cercavano sicurezza o una vita migliore. Dovrebbero essere immediatamente rilasciati ed evacuati in un paese sicuro.»

Adesso, per l'Italia e l'Europa, si pone di nuovo, ed in maniera più pressante rispetto a prima la questione migranti, sia in relazione alla lor presenza in Libia, sia in relazione agli aiuti in mare.

Infatti, non è illogico ritenere che il caos potrebbe far di nuovo aumentare il numero di coloro che cercheranno di fuggire dall'Africa attraverso il Mediterraneo.