A Milano, piazza degli Affari, proprio di fronte al palazzo Mezzanotte che ospita la sacra finanza, dal 2010 campeggia il “vaffa” di Cattelan. Io lo chiamo così perché quel dito medio in marmo di Carrara che vedete in foto mi suscita questo preciso messaggio. L’autore ha chiamato la scultura LO.V.E. (Libertà, Odio, Vendetta, Eternità) e ha spiegato il suo astratto significato, senza mai smentire altre interpretazioni come quella che ho appena fatto. Tra l’altro, per iconografia culturale e tradizionale è assolutamente innegabile che il dito medio rappresenti un sonoro “vaffa” (sebbene le altre dita non siano piegate sulla mano ma mozzate).
Cattelan è un noto e brillante artista padovano, concittadino di un altro artista meno noto di cui parleremo più avanti.
Il “vaffa” che io leggo è senz’altro da indirizzare al mondo di una finanza palesemente inutile, allorché contribuisce alla crescita infinita del PIL e alla contemporanea crescita infinita della povertà. Quindi questa ricchezza dove va a finire? Sicché, la borsa di Milano alle spalle del dito medio farebbe meglio a chiudere, perché ha fallito il suo obiettivo di prosperità globale (se lo era). Il capitalismo invariabile ha generalmente fallito.
Chi legge al contrario potrebbe dire che il dito è un “vaffa” che la borsa rivolge a una indistinta platea di illusi che spera di giovarsi con la finanza. Basta cambiare il punto di vista ponendosi in una delle finestre di palazzo Mezzanotte. Avrebbero pure un pelo di ragione in più, visto che il dorso della mano è rivolto proprio all’esterno, e solitamente è col dorso che si usa “vaffizzare” chi sta di fronte (passatemi il termine per ovviare a censure).
Insomma: l’arte è arte. Spesso comunica messaggi plurimi, ambigui, di denuncia in varie forme e circostanze. E quando si riesce a realizzare un’opera così criptica è chiarissima allo stesso tempo, che provochi e faccia costantemente discutere argomenti favorevoli e contrari, che scandalizzano e approvano, allora si è prodotto qualcosa di efficace e geniale.
Tuttavia, senza ipocrisie, dobbiamo ammettere che pochi sono in grado di apprezzare queste ambiguità ed estrarre un messaggio positivo e utile dall’opera, tale da depurarla dal significato visivo oltremodo palese: il vaffa chiaro e tondo, volgare e scandaloso sulla pubblica piazza. Perché questo ci vede la maggioranza, l’osservazione superficiale, i ragazzi, l’ilarità collettiva che semplicemente si sorprende per l’esistenza della statua e ne ride di gusto.
Cosa facciamo? Andiamo a pescare qualche articolo del codice penale per sottrarci dall’imbarazzo di spiegare e far capire Cattelan?
Simili reazioni vengono suscitate in diversi altri ambiti culturali, tra i quali spicca l’arte di strada con i suoi apprezzati e discussi Banksy e colleghi. In questi giorni è balzato alle cronache il caso di quell’artista meno noto concittadino di Cattelan che accennavo all’inizio, l’artista di strada che si fa chiamare Evyrein.
Questo che vedete sotto è il murales (tecnica stencil) apparso su un muro di Padova che avrebbe suscitato lo scandalo.
(Fonte: https://www.instagram.com/p/CntVMz8tRn8)
E’ stato già rimosso per impulso del P.M. della Procura di Padova, Roberto Benedetti, che avrebbe ipotizzato la violazione dell’art. 290 c.p. (Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze Armate). Così riporta “il Giornale” nella notizia dell’altro ieri, 16 febbraio, in coda alla quale si apprezzano una pioggia di commenti che insultano l’artista. Qualcuno gli augura anche il 41 bis.
Altre testate, come Open, il Tempo, Padovaoggi, il Gazzettino, ArtsLife, e così via, hanno riportato la medesima notizia. Sicché il murales ha inaspettatamente avuto una diffusione pubblicitaria incredibile, a dispetto della sua rimozione quasi immediata. Del resto la foto del murales continua a fare bella mostra anche nei profili ufficiali Istagram e Facebook dell’autore Evyrein. Come mai?
L’artista racconta anche di aver subito una perquisizione in casa alle 7 del mattino, con sequestri di materiale artistico che solitamente usa, compreso un tablet iPad e dei vestiti. Portato infine in questura con tanto di screening (non è chiaro su cosa) e foto segnaletiche. Al proprietario del muro dove era apparso il disegno è stato anche chiesto se voleva denunciare l’artista, ma questi avrebbe declinato l’invito degli inquirenti.
Un fatto assai inquietante.
Personalmente non amo la critica dissacrante e fortemente provocatoria con cui spesso si esprime l’arte. In genere anche la satira iperbolica mi mette a disagio; e perfino il L.O.V.E. di Cattelan mi risulta superfluo. Ma tutto questo solo perché idealizzo un mondo che riesca a ragionare con senso critico costruttivo e onestà intellettuale, intriso di gentilezza ed educazione. Eh, si! Idealizzo…
A parte le mie opinioni, il fatto inquietante a cui mi riferisco non sta certo nell’opera dissacrante di Everyn che raffigura la Meloni e Messina Denaro che si stringono la mano. Il fatto inquietante sta nel pensare che questo murales configuri il vilipendio ipotizzato dal magistrato, che avrebbe pure richiesto una gravosa perquisizione con sequestri e fotosegnaletiche, salvo il perdurare - a tutt’oggi - dei post social sul murales nei profili dell’artista indagato. E ancor più sbalorditive sono le reazioni e i commenti che si possono leggere su alcuni giornali.
Ci si chiede se sia vero che l’ipotesi di vilipendio - secondo Diritto - andrebbe anzitutto autorizzata dall’assemblea del Senato della Repubblica (ex art. 313 c.p.), e quindi che il signor Evyrein non avrebbe dovuto subire quello che racconta. Se fosse vero, eventuali perquisizioni sarebbero in questo caso ammesse ex art. 346 c.p.p. solo se strettamente necessarie ad acquisire mezzi di prova decisivi. E le prove, a quanto pare, esistevano già inequivocabilmente nei profili social dell’artista che lo rivendicava (ed era anche firmato). Sicché, ad avviso dell’abissale ignoranza di chi scrive, bastava fissarle come dettano la scienza e le norme di digital forensics. Le azioni superflue (perquisizioni, sequestri, fotosegnaletiche), qualora fossero davvero tali, possono invece far pensare a una sorta di gogna e punizione anticipata, come se fosse ammissibile una forma di coercizione atta a “dare l’esempio” e scoraggiare chiunque voglia esercitare un pensiero satirico e dissacrante verso questo governo, piuttosto che sullo Stato.
Si comprende meglio l’aspetto inquietante?
Se poi volessimo esaminare l’opera di Evyrein la lettura sarebbe pure semplice. Vedo un mafioso latitante che girava indisturbato al suo paese stringere la mano a una rappresentante dello Stato (la presidente Meloni); lo stesso Stato che gli ha fatto il “favore” (stretta di mano) di non essere stato capace di individuarlo per tutto questo tempo nonostante fosse sotto il suo naso (in bonafede, gioco di parole). Uno Stato di cui si è anche accertata la sua antica collusione con la mafia, come motivato nella sentenza del 6 agosto 2022 sul lungo processo penale inerente la “trattativa Stato-mafia” (tutti assolti, ma la trattativa ci fù!).
Questo non è abbastanza per spiegare cosa possa voler dire quella stretta di mano, suscitando riflessioni e facendo da monito alle stagioni future? Magari Evyrein avrebbe potuto rappresentare lo Stato come una vecchia signora di fantasia che indossa un tricolore, anziché usare l’immagine della Meloni. Ma il risultato non sarebbe cambiato, poiché il vilipendio non è un reato verso la persona (Meloni) ma verso l’istituzione che essa rappresenta. E sebbene sia così - e qui non uso il condizionale - ci si pone la domanda se si sarebbe proceduto lo stesso; e soprattutto se si sarebbero letti gli stessi commenti d’odio sui giornali online e su qualche bacheca social. Penso, invece, che l’artista sarebbe stato elogiato, se ricordo bene i commenti che quasi unanimi hanno imperversato per giorni insinuando che la cattura di Messina Denaro fosse frutto di un accordo. Con tanto di articoli e pareri di intellettuali. Ipocrisia delle reti social e non.
Così la vedo io. Come vedo il “vaffa” di Cattelan alla borsa italiana che rappresenta la finanza fallita. E già ne spiegavo le ragioni.
Come l’opera di Cattelan merita di fare da monito e suscitare riflessioni, senza che nessuno osi scandalizzarsi più di tanto, altrettanto meritevole sarebbe stato il murales di Evyrein (proprietario permettendo), il quale poteva al più essere invitato a utilizzare un simbolo di rappresentanza diverso e asettico, rispetto alla Meloni. Invitato, per giusta cortesia e diritto dell’interessata.
Il vilipendio è tuttavia un reato che non siamo ancora pronti ad abrogare. E’ necessario che anche nella critica più scandalosa si possa trovare una chiave di lettura legittima, come appare legittima in questo caso. Se mancasse, invece, allora l’offesa sarebbe gratuita e inammissibile, fomentatrice d’odio o disordine. Troppe sono le situazioni che proprio in seno alle istituzioni lanciano messaggi sbagliati; tra gli scranni parlamentari si assiste a invettive d’ogni genere, quasi tutte si risolvono con la mancata autorizzazione a procedere sebbene il costante determinarsi di effettivo vilipendio (uno dei casi più noti e recenti fù quello di Bossi che offese Napolitano, condannato a 1 anno ma poi graziato da Mattarella). Sono ovviamente un pessimo e deplorevole esempio per i cittadini che, poi, si vorrebbero “ligi” all’onorabilità di costoro.
E’ un pensiero chiaro ma intriso d’ipocrisia. Basti osservare che le poche richieste di autorizzazione a procedere pervenute negli anni da parte delle procure, in danno di cittadini come Evyrein, vengono quasi sempre negate dalle assemblee legislative (casi per il Senato, cfr: Doc. n. 10-A, XIV leg.; Doc. IV, n. 1-A, Doc. IV, n. 2-A, Doc. IV, n. 3-A, Doc. IV, n. 6-A, XIII leg., e così via - contro: Doc. IV, n. 18-A, XVII leg., durante le vicende di Renzi e il famoso “patto del Nazareno” di destra-centro-sinistra).
Interessante il caso Doc. IV, n. 3-A, della XIII legislatura, durante il governo D’Alema, che ha visto lui stesso e i suoi ministri, nonché l’allora presidente Scalfaro al quale subentrò Ciampi qualche mese dopo, pesantemente offesi dall’articolo di una rivista di estrema destra. La richiesta ex art. 313 c.p. avanzata dalla procura di Trapani venne negata con una curiosa quanto intelligente motivazione: «Il Senato può benissimo ritenere di non sottoporre all’autorità giudiziaria una questione che sia preferibile tenere riservata; così come può ritenere che la pubblicità del processo e la risonanza che può avere sulla stampa, con relative speculazioni politiche, possano ledere il prestigio delle Istituzioni ben più che uno sconclusionato e greve articolo».
Durante la stessa legislatura la sinistra formulò anche una proposta di legge (n. 3966, in XIII leg.) per abrogare tutte le norme concernenti il vilipendio. Simili disegni di legge, alla fine mai approvati, si susseguono con costanza nel tempo, perché esiste un pensiero persistente negli anni circa la natura anacronistica di tali norme, che ripeto: a mio parere non siamo pronti ad abrogare del tutto.
Ecco le motivazioni di quel disegno di legge in seno al dibattito parlamentare in tal senso vivace: «(le norme sul vilipendio, ndr) non appaiono compatibili nella sostanza con i principi fondamentali dello Stato democratico [...] il legislatore democratico non puó rispondere con un'assoluta e aprioristica difesa del prestigio delle istituzioni, perché essa finirebbe fatalmente col tradursi in uno strumento destinato a privilegiare chi detiene il potere. Occorre invece [...] che una tutela privilegiata venga accordata a chi dissente, e cioé a tutte le minoranze, in modo che possano condurre le loro battaglie e sostenere le loro rivendicazioni con tutte le forme possibili di espressione e quindi non solo con critiche raffinate o complesse, ma anche con invettive e espressioni suscettibili di essere ritenute vilipendiose. In una società libera, che ammette e predica il dissenso e l'alternanza al potere delle forze politiche, le istituzioni non possono e non debbono essere tutelate con un manto di sacralità, perché essa altro non sarebbe, come efficacemente si è detto, che un comodo paravento dietro cui mascherare la richiesta di acquiescenza e di ossequio a chi detiene il potere».
Non siamo pronti, ma sono parole che fanno bene agli occhi e al cuore, quantomeno per la speranza che da esse traspare e la conferma che esiste sempre chi riesce a confezionare riflessioni pregevoli in seno alle nostre istituzioni.
📸 base foto: Scultura “L.O.V.E.” di Maurizio Cattelan, 2010, Piazza degli Affari, Milano