In un'intervista pubblicata giovedì da il Manifesto, Susanna Camusso ha detto: "Ricordo bene che quando presentammo a tutte le forze parlamentari i nostri referendum, i Cinquestelle ci dissero di essere d'accordo con noi... Il voucher è l'esatto contrario del lavoro garantito, perché prevede solo la paga, ma non tutte le altre tutele contrattuali.

Il lavoro stagionale è già regolato in molti contratti, tra cui agricoltura e turismo: puoi fare contratti a termine di una giornata, ad esempio. Esiste il contratto a chiamata. Per la vendemmia puoi già assumere studenti, pensionati e disoccupati con i voucher, che hanno precisi limiti di applicazione."

Inoltre, la stessa Camusso sottolinea l'incongruenza di Di Maio che da una parte dice di voler combattere la precarietà del Jobs Act con il decreto dignità e, dall'altra, reintroduce i voucher che, in passato, hanno ampiamente dimostrato di favorire il lavoro precario, specialmente nel turismo, ma soprattutto in agricoltura dove il numero di lavoratori esposti al rischio di un lavoro irregolare sono oltre 400mila.


Ce lo fa sapere il quarto rapporto Agromafie e caporalato, realizzato dall'osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, e presentato a Roma questo venerdì al centro congressi Cavour.

Secondo i numeri più di 300 mila agricoli, ovvero il 30% del totale, lavorano meno di cinquanta giorni l'anno, e “presumibilmente in questo bacino è presente molto lavoro irregolare o grigio”. Il tasso di irregolarità nei rapporti di lavoro in agricoltura è pari al 39%.

L’Osservatorio Placido Rizzotto nasce nel 2012 con il compito di indagare "l’intreccio tra la filiera agroalimentare e la criminalità organizzata, con una particolare attenzione al fenomeno del caporalato e dell’infiltrazione delle mafie nella gestione del mercato del lavoro agricolo."

In base all'ultima pubblicazione, il tasso di irregolarità nei rapporti di lavoro in agricoltura è pari al 39% con i migranti che si confermano una risorsa fondamentale per la nostra agricoltura.

Nella sezione del rapporto titolata "Il lavoro indecente nel settore agricolo", che racchiude cinque storie di braccianti sfruttati, l'osservatorio della Flai ha realizzato una serie di interviste, proponendo storie di lavoro sfruttato in varie regioni italiane.

In tutti i casi sono emerse condizioni di lavoro al limite della schiavitù: nessuna tutela e nessun diritto garantito dai contratti e dalla legge; una paga media tra i 20 e i 30 euro al giorno; lavoro a cottimo per un compenso di 3 o 4 euro per un “cassone” da 375 chilogrammi; salario inferiore di circa il 50% della cifra fissata dai contratti nazionali.

A questo si aggiunge il fenomeno del caporalato con le persone coinvolte che devono pagare a chi le recluta il trasporto a seconda della distanza (media di 5 euro), insieme ai beni di prima necessità come l'acqua e il panino. Il loro orario medio va da 8 a 12 ore al giorno. Le donne in questa condizione percepiscono un salario medio inferiore del 20% rispetto agli uomini. Nei casi più gravi, alcuni lavoratori migranti sono stati pagati perfino un euro l'ora. Nelle stime circa 30 mila aziende ricorrono all'intermediazione del caporale, ovvero il 25% del totale delle imprese agricole sul territorio nazionale.

Pertanto, in una condizione simile qual è il bisogno di ritornare ai voucher?