"Sono molto contenta dei risultati ottenuti dall'Italia in questo Consiglio europeo e sono soddisfatta dei passi avanti fatti. C'era chi pensava che la politica estera italiana consistesse solo nel farsi dare pacche sulle spalle, mentre invece oggi abbiamo dimostrato che gli interessi della Nazione hanno rilevanza internazionale. In primis sul tema dei migranti, dove è stato finalmente messo nero su bianco un principio molto importante che cambierà l’approccio: l'immigrazione è un problema Ue e ha bisogno di una risposta Ue".

Così la Meloni, con la sua ormai nota vocina da basso baritono della Garbatella, ha commentato i risultati dell'ultimo Consiglio europeo. Un altro successo della premier, anche fuor dall'Italia. Ne eravamo certi.

La stessa Meloni, però, non è entrata nel dettaglio del come l'immigrazione diventerà un problema Ue, con una risposta Ue. Un aspetto non marginale della questione, dato che in passato tale promessa era già stata fatta, salvo che i Paesi cui la presidente del Consiglio si ispira per le sue politiche avevano risposto a Bruxelles con il braccio destro alzato, per metterlo bene in mostra, su cui avevano poi appoggiato con una certa irruenza, perché facesse rumore, il palmo della mano sinistra, accompagnando il gesto con un poco diplomatico "col ca..o".

Comunque, qualche dettaglio in più al riguardo lo ha divulgato la neo sovranista Ursula von der Leyen alla conferenza stampa da lei tenuta per commentare l'esito della riunione del Consiglio europeo del 9 febbraio:

"Riguardo alla migrazione, penso sia molto importante che il Consiglio europeo abbia chiaramente riconosciuto che la migrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea. Dovremmo tenere presente che questo approccio europeo – così lavorando insieme come 27 – ci ha permesso, ad esempio, di sconfiggere con successo l'attacco ibrido della Bielorussia con l'invio dei migranti utilizzati come arma. Ci ha anche permesso di accogliere milioni e milioni di profughi ucraini in fuga dalle bombe di Putin. Quindi, la lezione appresa in passato è: dobbiamo agire insieme. Quando lo facciamo, non c'è sfida che non possiamo superare. Sono quindi lieta che abbiamo concordato passi avanti molto concreti e operativi. Ci sono due tracce su cui lavorare.La prima è la messa a punto dei lavori sul Patto relativo a Migrazione e Asilo. Questa è la chiave. Finora abbiamo fatto buoni progressi. E dobbiamo mantenere lo stesso ritmo. Ora conto sulle presidenze svedese e spagnola, e ovviamente sul Parlamento europeo, per quanto riguarda questo aspetto.La seconda traccia è stata l'obiettivo principale di questa sera. Si riferisce a misure operative che possiamo adottare adesso. La prima: i confini vanno gestiti. Agiremo per rafforzare le nostre frontiere esterne e prevenire la migrazione irregolare. Per questo, ci concentreremo su due progetti pilota sui confini. In altre parole, forniremo un pacchetto integrato di infrastrutture mobili e fisse, dalle automobili alle telecamere, dalle torri di guardia alla sorveglianza elettronica. Ciò richiede finanziamenti dell'UE. Sono graditi contributi bilaterali. E, naturalmente, richiede anche finanziamenti nazionali. Quindi lanceremo anche progetti pilota incentrati sulle procedure di frontiera più adatte da mettere in pratica, quindi registrazione, procedure di asilo rapide ed eque, gestione dei rimpatri. Frontex, l'Agenzia dell'UE per l'asilo ed Europol sosterranno questi progetti pilota.Inoltre, misure concrete: i leader hanno convenuto di riconoscere reciprocamente le decisioni sui rimpatri. Questo permetterà di essere più veloci con i ritorni. Il principio è: se una decisione di rimpatrio è adottata in uno Stato membro, è valida in tutti gli Stati membri. Pertanto, se la persona si trasferisce in un altro Stato membro, non è necessario ripetere la stessa procedura, la decisione di rimpatrio è valida. E i leader hanno anche convenuto di aumentare l'uso del concetto di Paese sicuro. Ciò aprirà la strada allo sviluppo di un elenco europeo comune – questo è l'obiettivo – e quindi a un approccio europeo comune per maggiori ritorni.E il terzo punto è: in effetti, sui rimpatri, abbiamo discusso di come sia possibile intensificare il nostro impegno con partner chiave, quindi i paesi di origine. Abbiamo convenuto che dobbiamo parlare con una sola voce a livello europeo, come un'unica Europa.Ci sono diversi Stati membri con diversi buoni rapporti con i paesi di origine. Dovremmo sempre utilizzare l'approccio dell'intera Europa, un approccio olistico. E abbiamo molti incentivi diversi che possiamo utilizzare, pur riconoscendo gli interessi dei nostri partner. Ad esempio, per creare percorsi legali.Infine, in attesa dell'adozione del nuovo patto sulla migrazione e l'asilo, abbiamo discusso della necessità di sostenere meglio gli Stati membri sotto pressione. Il meccanismo volontario di solidarietà deve garantire una solidarietà effettiva. Allo stesso tempo, è importante affrontare i movimenti secondari attraverso la corretta attuazione del meccanismo di Dublino. È positivo che a dicembre sia stato raggiunto un accordo su una tabella di marcia di Dublino. Questo dovrebbe ora essere portato avanti il ​​prima e il più velocemente possibile".

Difficile poter capire da un punto di vista pratico le premesse e le promesse della neo-sovranista tedesca, finché non si tradurranno in qualcosa di concreto. Ma, par di capire, che ai migranti africani converrà tingersi di bianco e parlare in ucraino, o almeno urlare slava ukraini, per avere una qualche possibilità di asilo in Europa.

Nel frattempo, dedichiamo alle due presidentesse il seguente articolo come promemoria di cosa debbano affrontare i disperati (che attraversano il Mediterraneo) che cercano rifugio in Europa:

“Quello che voglio  adesso è acqua da bere, un posto caldo e un luogo sicuro dove non sento più quelle urla di disperazione e di agonia” .È il primo desiderio espresso da alcuni migranti sopravvissuti all’ultima tragedia nel Mediterraneo centrale . La hanno raccontato agli psicologi di Medici senza Frontiere rientrati da Lampedusa dove hanno operato per quattro giorni il primo intervento di supporto psicologico  dopo lo sbarco e il trasferimento dei migranti nell’hotspot di Lampedusa. Storie che non possono lasciare indifferenti soprattutto se si ascoltano direttamente da chi le ha vissute.Su quella barca lasciata alla deriva al largo delle coste tunisine in 42 sono rimasti per giorni senza cibo, senza acqua e con il freddo che nei mesi invernali di notte diventa insopportabile. Quando sono approdati finalmente a Lampedusa il 3 febbraio, alcuni non riuscivano neanche a camminare tanto era il dolore alle gambe e allo stomaco per aver bevuto acqua di mare. Molti  deliravano e avevano allucinazioni.Quelli più lucidi hanno raccontato di essersi persi poco dopo essere partiti da Sfax. Ignorati da tre pescherecci incontrati in quei giorni, nonostante le disperate richieste di aiuto.  Intanto otto tra i più fragili morivano davanti ai loro occhi. Solo la pietà dei pescatori su un quarto peschereccio incontrati al decimo giorni di viaggio , ha salvato gli altri da morte certa. Vedendoli in quelle condizioni con i cadaveri a bordo, li hanno rifocillati e trainati in un punto in cui era certo l’intervento della nostra guardia costiera che il 3 febbraio ha finalmente posto fine alle loro sofferenze portandoli a Lampedusa.: i morti e i vivi che hanno descritto i loro soccorritori come “angeli venuti dal mare”.Per chi è riuscito a sopravvivere non sarà però facile superare il trauma. Un ragazzo che aveva tenuto tra le braccia l’amico con il quale viaggiava da settimane. Convinto che fosse ancora vivo, solo dopo sbarcato ha capito ed è rimasto a lungo disorientato e dissociato dalla realtà che lo circondava. Non vedeva le persone che aveva davanti ma sembrava fosse rimasto su quella barca. Vedeva solo il mare, il carburante che si mescolava con l’acqua salata e  i corpi senza vita in mezzo ai vivi che urlavano e si lamentavano per la fame e i dolori.Nei quattro giorni in cui gli operatori di MsF sono rimasti con i sopravvissuti, il giovane si è piano piano ripreso. Al contrario di un altro uomo che aveva perso la moglie, il figlio e il fratello. La donna era rimasta con il bimbo in braccio finché, senza più forze, si era accasciata lasciando scivolare il piccolo in mare. Nel vano tentativo di recuperare il bambino, lo zio si è lanciato in acqua ma entrambi sono spariti tra i flutti. Unico sopravvissuto del nucleo familiare, il papà è rimasto in uno stato psicologico devastato. Disperata anche la giovane donna incinta di tre mesi che ha perso il suo bambino. A riportare un po’ di luce il miracolo della neonata sopravvissuta attaccata al seno di una mamma che intanto aveva esaurito il suo latte.La barca sulla quale viaggiavano i 42, tutti subsahariani era una di quelle nuove imbarcazioni in ferro. Più instabili e pericolose di quelle usate negli anni passati e che somigliano più a vasche da bagno. I trafficanti le usano per mettere in mare gli africani neri.  Anche se partono dalla Vicina Tunisia, l’instabilità dell’imbarcazione rende il viaggio pericoloso quanto quello sui gommoni che partono dalla Libia. Il peso dato dal numero eccessivo di persone caricate a bordo fa abbassare la barca fino a far entrare l’acqua dentro: i passeggeri viaggiano immersi in questo liquido ustionante fatto di acqua di mare e carburante. Resistere a lungo cosi è impossibile. Per chi riesce a sopravvivere a questa guerra, la vita è un tormento. Per questo per ogni superstite i medici di MsF scrivono un certificato di vulnerabilità in cui si raccomanda al centro che accoglierà queste persone di attivare un percorso psicosociale.“Sappiamo che il dolore è lo stesso per tutti ma tante volte ci dimentichiamo che il dolore che provano gli altri è uguale al nostro” concludono le psicologhe di MsF rientrate dall’isola che continua ad accogliere i vivi e i morti. Succede purtroppo mondo che sempre più spesso rifugge il dolore  degli altri.   (Migranti: sopravvivere al dolore di una guerra silenziosa di Angela Caponnetto per articolo21.org)Contro questa gente, contro queste situazioni, Meloni e von der Leyen vogliono innalzare i loro muri, le loro torrette di guardia, le loro telecamere, i loro sistemi di sorveglianza...