Il giurista risponde al sottosegretario Sisto: “Altro che valutazioni più stringenti la vittima deve essere al centro del nuovo processo penale”.


Il processo penale vigente si concentra troppo sull’imputato e poco sulla vittima del reato. Se l’imputato è a volte condannato prima del processo, la vittima subisce la condanna due volte, la prima nel processo, la seconda alla fine dello stesso. Nel processo, perché il suo ruolo è del tutto marginale, alla fine del processo, per la sua lungaggine e per le pene incerte e spesso non proporzionate al reato commesso.

Il sottosegretario Sisto dimentica che l’Europa abbia deciso ben vent’anni di porre la vittima al centro delle proprie politiche sulla giustizia penale. Dalla decisione quadro 2001/220/GAI si sono susseguiti grandi rivolgimenti culturali e normativi nel resto d’Europa. In Italia, invece, la vittima è rimasta ai margini del processo penale.

Al primo provvedimento, l’Unione europea ha fatto seguire la direttiva del 2012/29/UE: una sorta di “vangelo” dei diritti della persona offesa, che rappresenta il necessario termine di paragone per verificare – su questo specifico tema – quanto indietro sia il nostro Paese.

Dobbiamo dunque domandarci oggi: la vittima ha un suo ruolo processuale appropriato?  La mia risposta è negativa. L’incoerenza sta proprio riguardo all’individuazione del ruolo della vittima di reato nel processo penale.

La penso esattamente all’opposto del sottosegretario Sisto: la vittima ha bisogno di un riconoscimento che la collochi a tutti gli effetti nel ruolo di parte processuale. La vittima deve essere sentita nel procedimento penale e deve poter fornire elementi di prova. Diceva bene il prof. Giovanni Tranchina già trent’anni fa: “La funzione probatoria della vittima dovrebbe andare oltre l’assunzione della qualità di persona informata sui fatti, prima, e di testimone, dopo, durante il giudizio, per attingere al nucleo vero dei “procedural rights” di natura probatoria, in altre parole, la richiesta di ammissione delle prove, da rivolgere – al pari di accusa e difesa – al giudice del dibattimento”.

Caro sottosegretario Sisto, la possibilità di portare la pretesa civile nella sua sede naturale (il processo civile) è vero che potrebbe liberare il campo della giustizia penale da istanze che in certa misura vi appaiono estranee, ma questo deve accadere senza però privare la vittima del diritto a una piena partecipazione là dove – il processo penale – le fonti sovranazionali per prime impongono che essa sia informata, assistita e tutelata.


Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.