È noto come la prassi esecutiva con strumenti originali sia ormai divenuta un modello di approccio attraverso cui accostarsi e rileggere gran parte del repertorio. In alcuni casi, poi, questo tipo di esecuzione ha il merito non di risolvere problemi o fornire risposte, ma di porre quesiti, di aprire nuove possibile strade per comprendere un’opera musicale.
L’edizione de Le nozze di Figaro di Mozart dirette da Simone Perugini, disponibile dal 30 novembre per VDC Classique può essere inserita in questa prospettiva. La rilevanza di una interpretazione va ben oltre il suo accadere spazio-temporale: essa non solo deve interagire con le ricerche estetiche e storico-musicali, ma possiede un intrinseco valore conoscitivo. In questa prospettiva una simile registrazione deve godere della stessa considerazione di un saggio sulla drammaturgia di Mozart.
La domanda che nasce dall’ascolto di questi tre cd riguarda infatti la collocazione del teatro mozartiano all’interno della storia dell’opera in musica. Perugini afferma nelle note di copertina che la sua lettura non è barocca ma neo-classica. Questa affermazione viene confermata dalla grande omogeneità tra voci e tessuto orchestrale, primo dato che emerge all’ascolto. La leggerezza del canto si colloca in opposizione al divismo che caratterizzava il teatro musicale tra Sei e Settecento, periodo in cui, com’è noto, le opere venivano composte per far emergere il virtuosismo di questo o quel cantante. Al contrario questa edizione cerca di evidenziare come Le nozze di Figaro sfuggano a questo cliché: ogni elemento è funzionale al dramma e pertanto Perugini privilegia tutti gli aspetti che favoriscono la fluidità dell’azione.
Una delle preoccupazioni principali del direttore sembra essere la comprensibilità delle trama e degli stati d’animo dei personaggi. Questa interpretazione, infatti, è particolarmente attenta a restituire la drammaturgia che caratterizza la collaborazione tra Mozart e Da Ponte. Raramente si è avvertito un simile, straordinario, lavoro sui recitativi. Non è un caso che Perugini ricordi che il termine "recitativo" abbia la stessa radice etimologia del vocabolo italiano "recitare". Questa comprensibilità della parola e il suo valore espressivo sono funzionali per porre in evidenza come Le nozze di Figaro siano un’opera di passaggio tra l’età barocca e quella classica.
La recitazione sembra essere un fattore fondamentale di questa produzione: le risate, i leggeri sospiri sembrano riempire il libretto con quei rumori che accompagnano i nostri atteggiamenti nella vita quotidiana, e contribuiscono a fare della naturalezza un elemento che attribuisce unità all’azione.
La funzione narrativa è affidata anche all’orchestra: il suono asciutto ed energico di Fête Galante Baroque Orchestre non contrasta con la visione neo-classica di Perugini, anzi riesce ad utilizzare la chiarezza del fraseggio e della condotta delle voci ed i repentini contrasti dinamici come elementi che rientrano nel progetto complessivo del direttore.
La trasparenza orchestrale non deve però indurre a pensare ad una lettura solo analitica: il senso di continuità della vicenda è fortissimo, e non viene interrotto neppure dalle grandi arie. Musica e libretto formano un sodalizio inscindibile e perfettamente funzionante. Così gli attacchi tipicamente settecenteschi mirano a sottolineare lo stato d’animo dei personaggi (si ascolti come esempio Esci ormai garzon malnato). Inoltre l’orchestra da una parte anticipa il climax delle varie scene, dall’altro, soprattutto con i legni evidenzia i passaggi contrappuntistici che permettono di ottenere un effetto comico: ne sono esempio i duetti iniziali del primo atto e Se vuol ballare, in cui l’orchestra anticipa le minacce di Figaro.
L’ironia e la critica sociale sono altre cifre caratteristiche di questa esecuzione: Perugini sembra privilegiare il disincanto che corre lungo tutto il testo di Beaumarchais, ancora prima di arrivare all’opera di Mozart e Da Ponte. Il direttore interpreta la comicità de Le nozze di Figaro anche in questa direzione. Se si ascolta, ad esempio, il finale del terzo atto, si percepisce chiaramente la vuota magniloquenza in cui viveva la nobiltà di Luigi XVI: in questa edizione de Le nozze di Figaro l’attenzione sembra spostarsi sulla società: le vicende dei personaggi vengono collocate all’interno della complessità dell’opera e l'interpretazione dei singoli cantanti nasce dall’interazione con il direttore.
L’atteggiamento disincantato cui si accennava è presente soprattutto nel personaggio di Figaro interpretato da Irving Hussain. Grazie alla sua dizione è riuscito meglio degli altri ad assecondare il progetto di Perugini di prestare molta attenzione alla recitazione creando un personaggio umanissimo, ingenuo e sicuro di sé al tempo stesso. Il carattere del protagonista è definito già dal primo atto, ma questo discorso vale anche per i personaggi e per le relazioni che si instaurano tra essi. È il caso, ad esempio, di Barbarina, che, anche se non compare nel primo atto, viene già presentata dai racconti del Conte e di Cherubino.
Susanna si stacca dalla maschera della giovane sposa che, così come voleva il teatro settecentesco sia lirico sia di prosa, sa usare le sue "astuzie femminili". July Wason le conferisce nuovo spessore e una intelligenza che le permettono di avere il controllo della situazione.
La voce di Roberto Vicarelli appare in questa edizione più profonda e scura rispetto al passato: il suo Conte rivela tutta la nobiltà del personaggio. Il timbro appare molto simile a quello di Hussain a dimostrazione del fatto che, come nel Don Giovanni, il rapporto tra le figure baritonali propone ancora una volta il tema dello sdoppiamento tra servo e padrone.
Laurie Farrel-Smith, nei panni della Contessa, ha acquisito sicurezza e la brillantezza della sua voce ancor maggiore rispetto ad altre prove discografiche del passato. L’eleganza del suo fraseggio le consente di assecondare il progetto interpretativo del direttore.
Jannette Halison riesce a rendere la freschezza e lo spirito ingenuo e curioso con cui Cherubino si affaccia alla vita. Voi che sapete esemplifica la concezione di Perugini secondo cui gli abbellimenti non sono mai fini a se stessi, ma sempre funzionali all’espressione. Riteniamo che questo sia il motivo per cui le fioriture non sono collocate solo nelle cadenze, ma in tutto il corso delle arie o dei concertati. Esse non interrompono il discorso musicale; anzi, proprio perché sono eseguite con naturalezza, gli forniscono continuità.
Eccellente anche il resto del cast, in particolare Tommaso De Rosa che, nei panni di Bartolo, esegue un’efficacissima aria della Vendetta. In definitiva si tratta di una edizione de Le Nozze di Figaro che consigliamo di ascoltare senza interruzione perché in questo modo si coglie l'unitarietà, frutto di un lavoro di cesello grazie al quale ogni particolare instaura una relazione dialettica con il tutto. Ne risulta un flusso di musica continuo e sempre perfettamente equilibrato.
Ora aspettiamo da Perugini un Don Giovanni e, naturalmente, qualche altra nuova produzione cimarosiana.