In un passaggio del poco credibile argomentare odierno dell'estremista di destra Giorgia Meloni, per dimostrare quanto il suo nume tutelare Donald Trump (di cui ha però specificato di non essere la cheerleader), sia nonostante tutto il miglior politico cui l'America potesse aspirare, la leader di Fratelli d'Italia dichiara:

"E’ un momento grave, è in gioco la democrazia. Su questo sono d’accordo, mi sorprende però che alcuni pericoli per la nostra democrazia siano sistematicamente taciuti, come il fatto che i giganti del web, società private, si arroghino il diritto di sostituirsi alla magistratura, alle istituzioni e alla costituzione americana oscurando e zittendo il Presidente USA. Veramente non si vedono i rischi che questo comporta?" 

La Meloni fa riferimento alla decisione di Twitter di sospendere definitivamente l'account di Donald Trump. Decisione che segue quelle di Facebook e Instagram, social che però, almeno per il momento, si sono limitati a bloccare l'account di Trump, finché il nuovo presidente Joe Biden non si sarà insediato.

Che Trump abbia utilizzato i propri profili social per istigare odio contro chiunque, solo perché lo riteneva funzionale alla sua propaganda, fino ad arrivare ad incitare ad un atto insurrezionale nei confronti del Parlamento degli Stati Uniti, non è una supposizione... sono fatti.

Pertanto, che uno metta alla porta e cacci fuori dalla sua abitazione un ospite che si comporta in maniera opposta a quelle che sono le regole della convivenza e del vivere civile non è di per sé un atto sbagliato, provocatorio, arrogante, ingiustificabile (o comunque si preferisca definirlo)... è semplicemente un atto dovuto.

Però, la decisione da parte dei social di escludere qualcuno dalle loro piattaforme non può non sollevare inevitabili interrogativi:

Chi stabilisce che quanto detto da una persona sia giusto o sbagliato, al di là che, in base alle proprie convinzioni, possa essere o meno condivisibile?

Le regole della piattaforma, dirà qualcuno.

Non sembra però che tali regole siano sempre congruenti. Nel caso di Trump si è deciso solo adesso che i suoi post le avevano violate, quando è da sempre che il nostro incita all'odio e plaude alle attività di gruppi notoriamente violenti e razzisti. Adesso, Twitter, Facebook, Instagram, ecc. hanno deciso che era giusto fermare Trump... ma solo perché l'indignazione da parte della maggioranza dell'opinione pubblica per l'assalto al Campidoglio era tale da ritenere doveroso fermare una persona che in futuro avrebbe potuto rendersi responsabile di simili atti. 

Ma allora che cosa può voler dire questo? 

Che le regole esistono, ma evidentemente vengono applicate in funzione di altri parametri che sono però discrezionali. E allora, anche ammettendo che ciò sia corretto (al di là che lo sia o meno), si pone un'ulteriore questione: chi o che cosa può o deve determinare la decisione di un social network di consentirne o meno l'uso? 

Nel caso in cui una piattaforma sia utilizzata da decine e decine di milioni di utenti il problema non è di poco conto. Infatti, possono essere Zuckerberg o Dorsey a stabilire che uno abbia o meno il diritto di rivolgersi a milioni di persone? E chi garantisce che Zuckerberg o Dorsey prendano sempre la decisione giusta, quando limitano la libertà di espressione di una persona? Può esser sufficiente il solo fatto che abbiano un mare di soldi? Difficile crederlo.

Paradossalmente, a Trump, ritenuto responsabile di aver istigato i suoi sostenitori a compiere un atto criminale, è già stato impedito di twittare e di postare su Fcebook, attività apparentemente marginali rispetto a quella di ricoprire l'incarico di presidente degli Stati Uniti, cosa che può al momento continuare a fare del tutto indisturbato (salvo futuro ricorso al 25° emendamento o all'impeachment). Ora viene da pensare che le regole di Twitter e Facebook siano più rigide e/o di più rapida applicazione delle norme del codice penale degli Stati Uniti, oppure che postare su Twitter possa avere un effetto più devastante di quanto può fare chi gode dei poteri di presidente di uno stato.

E' innegabile che i social media abbiano avuto un enorme successo. Ormai sono diventati il principale mezzo di espressione e di informazione. Ma è proprio questo che rende necessario sottrarre la possibilità del loro utilizzo alla discrezionalità dei privati, siano pure i loro proprietari. Volendo fare un parallelo con la libertà di stampa, da sempre componente essenziale di una democrazia, mai e poi mai accetteremmo che siano i fornitori di carta a costringere un giornale a chiudere, rifiutandosi tutti d'accordo di vendergli il loro prodotto perché non ne condividono i contenuti.

Zuckerberg e Dorsey hanno bloccato Trump, per evitare di finire nel mirino di quanti avrebbero potuto denunciare la pericolosità dei social. A ben vedere hanno ottenuto l'effetto contrario, evidenziando l'enorme potere di cui dispongono e che li mette al di sopra di un presidente e delle leggi dello stato.