Salute

Coronavirus: è possibile essere reinfettati dopo la prima infezione o malattia? Quale implicazione per i vaccini?

di Vincenzo Petrosino - Oncologo Chirurgo - SALERNO.  

Sembra al momento che i casi di reinfezione da Covid-19 siano molto rari e alcuni da ricontrollare. Ovviamente la ricerca non si ferma e va avanti prendendo in giusta considerazione ogni piccolo dettaglio.

D'altra parte produrre un vaccino efficace, duraturo e sicuro è un obbiettivo che si sta perseguendo in tutto il mondo e nulla può essere lasciato al caso. 

Alcune settimane fa è stato accertato, ad Hong Kong, il primo caso di reinfezione da Sars-Cov-2. Un uomo che si era ammalato 4 mesi prima è risultato nuovamente positivo al virus. La seconda infezione è stata asintomatica, e secondo molti esperti ha dimostrato come il corpo reagisca in modo più tempestivo ed efficace se conosce un virus. Anche nel Nevada è accaduta la stessa cosa ma in maniera più grave.

Al momento si tratta di casi isolati, che in generale non preoccupano gli esperti..

I casi di Covid-19 nel mondo sono quasi 30 milioni, Pertanto, rispetto a questa cifra i casi di reinfezione accertati e ben documentati sembrano essere estremamente rari e in generale sono associati a sintomi clinici meno gravi rispetto alla prima infezione. 

Gli stessi  coronavirus che causano raffreddori comuni spesso infettano due volte lo stesso soggetto, questo accade anche con una certa frequenza un anno dopo la prima infezione, ma la replicazione virale è limitata e le reinfezioni, di solito, non sono associate a sintomi clinici.

Secondo  Alex Richter dell’Institute of Immunology and Immunotherapy dell’Università di Birmingham, “Per il momento parliamo di meno di una manciata di casi. Tuttavia, ne sapremo di più man mano che i casi aumenteranno a partire da questo autunno. Bisognerà prima di tutto capire se il tampone che risulta positivo per la seconda volta a distanza di tempo sta rivelando la presenza del virus vivo oppure di frammenti virali rimasti dalla prima infezione. Sarà poi necessario prendere in considerazione quelle categorie di pazienti che non possono produrre anticorpi protettivi contro il virus o in risposta ad un vaccino, che sono i pazienti con immunodeficienza primaria. Mentre i pazienti con immunodeficienza secondaria - quindi malati di tumori ematologici, di disturbi reumatologici, di patologie che coinvolgono reni e fegato hanno risposte immunitarie molto eterogenee.Il fatto che sia possibile ammalarsi di Covid-19 fornisce delle indicazioni su come il sistema immunitario risponde all’infezione. Diversi studi suggeriscono che nei giorni che seguono i primi sintomi i pazienti sviluppano degli anticorpi, anche neutralizzanti, il cui livello però declina con il tempo fino a quasi scomparire, per molti, a distanza di tre mesi. Ma non sono solo gli anticorpi neutralizzanti a determinare una difesa immunitaria specifica in caso di reinfezione”.

Secondo  Alessandro Sette del La Jolla Institute for Immunology, in California, “ci sono dei casi in cui un livello di immunità molto elevato, chiamato “immunità sterilizzante” riesce prevenire in modo assoluto il rischio di una seconda infezione. Ma sono situazioni molto rare. Nella maggior parte dei casi, quando il corpo viene a contatto per la seconda volta con un patogeno, potrebbe verificarsi un’infezione transitoria prima che il microbo in questione venga eliminato. Anche se il livello degli anticorpi è basso e questi non sono in grado di prevenire completamente l’infezione, i linfociti T e i linfociti B della memoria vengono rapidamente reclutati e attivati, e prevengono in questo modo una replicazione estesa o semplicemente riducono l’intensità dell’infezione. Al di là della presenza di anticorpi, che diminuiscono nel tempo, le cellule della memoria possono persistere per decenni. Nel caso del virus Sars-Cov, responsabile della SARS, è stato dimostrato che questi linfociti persistono per almeno 17 anni. È presto per dire se questo accadrà anche per Sars-Cov-2, lo scopriremo con il tempo, ma pare che il livello delle cellule della memoria, almeno per qualche mese, resti stabile”

Lo studio dei casi di reinfezione può avere delle implicazioni per lo sviluppo del vaccino? Secondo Richter  “bisognerà identificare chi non risponde adeguatamente e prendere in considerazione dei richiami  o capire come gestire il rischio di infezioni in altri modi. Non credo però che le reinfezioni abbiano un’implicazione sul processo stesso di sviluppo di un vaccino”.

E per Alessandro Sette “i casi di reinfezione sono rari, e la principale preoccupazione per i vaccini in fase di sviluppo è  quella di dimostrare che siano sicuri ed efficaci nella stragrande maggioranza della popolazione”.

Autore Vincenzo Petrosino
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