Il conflitto in Libia si allarga: i turchi, ufficialmente, scendono in campo a sostegno di Tripoli
Definire e soprattutto prevedere la politica estera della Turchia di Erdogan è forse impossibile anche per gli esperti di questioni internazionali.
Prima Erdogan era in buoni rapporti con l'Isis e poi decise di scaricarli diventando un fedele alleato della Russia di Putin, schierato contro l'Isis, con cui prima si scambiava accuse quasi quotidianamente.
Con gli Stati Uniti di Trump, Erdogan arriva persino alle minacce, salvo poi dal giorno alla notte ritrovarsi a fianco del presidente Usa, che lo esalta per la sua affidabilità e per essere un grande amico degli americani, ecc.
Nella guerra civile libica, Erdogan era schierato dalla parte delle milizie di Haftar, cui aveva inviato armamenti e aiuti per sconfiggere il governo di Tripoli. A fine novembre la Turchia cambia cavallo ancora una volta e decide di appoggiare il governo del premier Fayez al-Sarraj.
Questa volta, però, Ankara non si limita ad un sostegno più o meno palese con il solo invio di armi, ma decide, come annunciato a fine dicembre, per il dispiegamento di truppe turche in Libia.
Una decisione che è stata confermata giovedì 2 gennaio dal voto del Parlamento turco, seppure non unanime, con 184 parlamentari che si sono detti contrari.
L'attività dei turchi in Libia, almeno in una prima fase, dovrebbe riguardare "solo" l'addestramento, l'invio di droni e l'organizzazione di missioni speciali.
Anche se l'intervento turco è stato richiesto da Tripoli, non sono certo le motivazioni ufficiali (tipo evitare che la Libia scivoli nel caos) ad aver spinto Erdogan a tale decisione.
Chi partecipa ad una guerra sa che poi dovrà, gioco forza, anche partecipare ad una pace. Ed è questa la molla che, probabilmente, ha spinto Erdogan di intervenire, in modo da portare la Turchia al centro dell'attenzione internazionale, dopo la Siria, utilizzando un Paese come la Libia le cui risorse naturali, tra l'altro, lo rendono un obiettivo appetito da molti.
In ogni caso, Erdogan dovrà però fare i conti con Nazioni Unite e Nato, a cui la Turchia appartiene e che non possono certo continuare ad ignorare le mosse del presidente turco, incurante di qualsiasi convenzione, trattato o alleanza in precedenza concordata dal suo Paese.