La Redazione "Il sismografo" ha recentemente pubblicato il seguente testo del dr. Raffaele Iavazzo, psichiatra ospedaliero in pensione e bioeticista, accolto favorevolmente dal  Movimento Internazionale dei preti sposati.


Stimato Direttore,Siamo un gruppo di operatori impegnati nell’accompagnamento di sacerdoti e religiosi in difficoltà, che si riuniscono da qualche anno a riflettere sul problema e sulle sue possibili soluzioni. Il gruppo è formato prevalentemente da sacerdoti, con la presenza di due specialisti laici fin dalla prima ora. Finora ci siamo riuniti ospiti di un noto Istituto Religioso di Milano. Il periodo della pandemia ha visto una forzata fermata dei nostri incontri. Nei nostri primi due convegni abbiamo avuto anche la partecipazione di alcuni superiori generali di istituti missionari e dell’arcivescovo di Milano Mons. Delpini e del Vescovo Camisasca, allora Vescovo di Reggio Emilia. Abbiamo consapevolezza di trovarci di fronte ad una difficoltà molto grande e composita, che riguarda la Chiesa e la società intera e questo rende la riflessione appesantita da un certo pessimismo, aggravato dal fatto che discutiamo di problemi di cui ufficialmente tutti sono a conoscenza, ma che nello stesso tempo non sembrano ancora iscritti nell’agenda dei problemi da risolvere.Nel gruppo ci sono sensibilità differenti, legate alle diverse esperienze e individualità.Un tema che si vorrebbe fare emergere è la IRREALTA’ della vita del prete. Irreale perché lontana dalla vita della gente (un prete non sa cosa vuol dire arrivare a fine mese, non ha qualcuno di reale a cui dover rendere conto del lavoro che fa…). Irreale perché spesso nella vita del prete diventa “problema” ciò che non solo non è tale ma è anche spesso una perversione della realtà (assolutizzazione di linguaggi e di forme liturgiche, cura estetica della propria immagine).Un secondo tema riguarda la fatica quando non l’incapacità di rapporti se non sbilanciati, assunti nel ruolo. Non aiuta in questo la formazione “separata” e “protetta” del seminario. In fondo negli anni di formazione i futuri preti non devono occuparsi di nulla (cucinare, fare la spesa, spesso neppure la fatica di usare mezzi pubblici); e ancor meno aiuta la mitizzazione dell’alter Christus.Poi, a differenza di un tempo non lontano, le vocazioni al presbiterato hanno sempre meno le proprie radici   in una esperienza di comunità cristiana (famiglia e parrocchia/movimento) bensì in una sorta di ispirazione personale o esperienza soggettiva che spesso è l’assolutizzazione di un aspetto (vedi liturgia ma anche identità affettiva non chiara – tema dell’omosessualità). Alcuni preti hanno anche una doppia vita, come se la dimensione morale potesse essere tutt’altra da quella ministeriale (identità e moralità)Il convegno vuole dire parole franche, che non sempre ci sentiamo liberi di usare per tanti motivi di discrezione o di opportunità.Una prima parola schietta riguarda la situazione ecclesiale attuale, che è molto preoccupante. I religiosi sono sempre meno, procedono in ordine sparso, culturalmente e moralmente.Un’altra parola franca riguarda la situazione dei sacerdoti, che ridotti di numero, si trovano ad affrontare compiti crescenti, con sempre minor tempo per se stessi e per la propria cura e condannati ad essere stressati.Accettare di essere stressati equivale alla stessa responsabilità di stressare. Entrambe le situazioni si caricano della colpa di un cattivo funzionamento e dello scadimento di ogni funzione.La conseguenza di tutto questo è che le comunità si trovano a interrogarsi sulla loro identità e forse anche sulla loro sopravvivenza.So che la vostra Rivista è attenta a questi stessi temi. La vostra voce è una voce ascoltata e i problemi da voi segnalati hanno la giusta risonanza. Per questo ho immaginato che il vostro coinvolgimento in questa iniziativa sia moltiplicatore di tanti sforzi e di buoni risultati. Se queste nostre preoccupazioni non diventano preoccupazioni comuni la strada rimane lunga e difficile. La ringrazio per l’attenzione e la saluto cordialmente.

Raffaele Iavazzo