Anni fa ebbi occasione di visitare in Inghilterra, a Manchester, lo stabilimento di un biscottificio.

All’uscita di ogni forno non erano ancora impiegati dispositivi per il confezionamento automatizzato, bensì c’era la schiera di una ventina di operatrici, in piedi ai lati dei nastri trasportatori, che prelevavano manualmente i prodotti per inserirli nelle confezioni.

Fui stupito nel notare che alle spalle di ogni cinque o sei operatrici  ci fosse una lavoratrice seduta e nullafacente.

Il direttore dello stabilimento mi spiegò che si trattava di operaie preposte a dare il cambio a quelle operatrici che avessero chiesto di allontanarsi dalla loro postazione per bisogni fisiologici.

Non potei fare a meno di constatare che le operatrici ai nastri trasportatori fossero in prevalenza “colored” mentre di carnagione bianca tutte le addette ai cambi.

Il mio accompagnatore fraintendendo il mio stupore si affrettò a precisarmi, con l'intenzione di rassicurarmi, che il trattamento salariale era però identico per le une e per le altre.

Questo episodio mi torna in mente ogni volta un qualche politico si butta a capofitto nel riformare le pensioni, e non per trovare soluzioni più adeguate ed eque per i lavoratori, ma solo per inventarsi un qualche nuovo algoritmo che meglio soddisfi il suo obiettivo ora economico ora politico.

Così è stato per la riforma Fornero, così è in questi giorni per la riforma “Quota 100”.

I requisiti presi in considerazione da queste riforme sono sempre ed unicamente l’anzianità contributiva e l’età anagrafica del lavoratore, come se sul logorio del lavoratore non incidano soprattutto la condizione ambientale, lo sforzo fisico, lo stress psichico, la turnazione, la persistenza nella posizione di lavoro, etc.

Non ho dubbi, ad esempio, che nella grande distribuzione il logoramento fisico di un addetto che per anni curi il riassortimento manuale degli scaffali sia maggiore di quello del suo collega che trascorra gli stessi anni alla scrivania in un ambiente confortevole e climatizzato.

Così come, per esempio, ritengo sia di molto superiore lo stress psicofisico di un agente di polizia in servizio sulle volanti, per anni e con ogni condizione climatica, rispetto a quello del suo collega impiegato per sole 6 ore in un qualche ufficio amministrativo.

Questa semplice esemplificazione vuole evidenziare come la contrattualistica spesso ignori le diversità di stress in attività che sono regolate da uno stesso contratto e soggette allo stesso trattamento pensionistico.

Ora è pur vero che le norme vigenti prevedono anche i casi di prepensionamento.

Esistono, cioè, strumenti che consentono la conclusione anticipata dell’attività lavorativa come, ad esempio, “APE sociale” cui possono accedere i lavoratori che svolgono “mansioni gravose”, riconosciute tali in un elenco di 11 categorie, o la “Ipopensione” di cui possono beneficiare i lavoratori in esubero in base ad accordi azienda-sindacato.

Inoltre la normativa prevede anche il possibile prepensionamento per coloro che svolgono i cosiddetti “lavori usuranti” come l’impiego in cave e gallerie, a turni o notturni per periodi prolungati, in catene di montaggio, in ambienti con alte temperature, etc.

Per tutti, però, esistono comunque i vincoli di una anzianità contributiva di 35 anni e di una età anagrafica non inferiore a 62/63 anni.

In pratica, cioè, un addetto agli alti forni che ha iniziato a lavorare all’età di 20 anni sarà costretto a vivere in quell’ambiente nocivo per 42 anni prima di poter accedere al prepensionamento.

Sarebbe meglio che, invece di improvvisare riforme cervellotiche, il governo ed in particolare il Dicastero del lavoro dedicasse tempo e buon senso, libero da facili generalizzazioni e dall’idea fissa che l’età media della popolazione è in aumento, per analizzare tutte le attività accomunate da uno stesso contratto di lavoro, assegnando ad ognuna un peso in funzione di fattori quali: condizioni ambientali, fatica fisica, stress psichico, modalità operative.

Si scoprirebbe così che molti lavoratori raggiungerebbero il top del logoramento psicofisico ben prima dei 60 anni, mentre molti loro colleghi sarebbero in grado di lavorare anche oltre i 70 anni.

Il che, peraltro, già avviene oggi per molti artigiani, liberi professionisti, lavoratori autonomi, piccoli imprenditori che continuano a lavorare a lungo oltre l'età pensionabile.