"La lunghissima trattativa non stop, iniziata nel primo pomeriggio di mercoledì 5 settembre, ha portato finalmente all'intesa: la nuova proprietà ha accettato la proposta sindacale di 10.700 assunzioni subito. L'acquirente si è anche impegnata ad assumere entro il 2024, quindi al termine delle opere legate al piano ambientale, i lavoratori che fino ad allora non abbiano usufruito di un'offerta di impiego all'interno della nuova Ilva. Previsto anche un piano di incentivi all'esodo volontario, finanziato complessivamente con 250 milioni di euro (circa 100mila euro lordi a lavoratore in caso di uscita anticipata), e un investimento complessivo di 4,2 miliardi per i piani industriale e ambientale. I sindacati hanno anche revocato lo sciopero programmato per martedì 11 settembre."

Questo il riassunto, se non trionfalistico sicuramente soddisfatto, della Cgil per descrivere la trattativa che ha portato alla chiusura positiva della vicenda Ilva, con il suo passaggio ad ArcelorMittal.

Inoltre, è da sottolineare che la salvaguardia dell'occupazione prevede anche il mantenimento di tutti i diritti acquisiti retributivi e di legge, compreso il mantenimento dell'articolo 18 a tutela dei licenziamenti discriminatori. In pratica, ai lavoratori ex Riva riassunti da ArcelorMittal non sarà applicato il Jobs Act!

Sul piano ambientale, inoltre, sono stati fatti dei passi avanti rispetto ai piani predisposti nel precedente accordo.

Adesso, nel caso la produzione di acciaio a Taranto superi i sei milioni di tonnellate annue, sarà necessario da parte della nuova proprietà ottenere un via libera, per andare oltre tale soglia, tramite una documentazione che certifichi che le emissioni complessive di polveri dell’impianto non vadano oltre i livelli che erano già stati previsti per la produzione limite di sei milioni.

Riguardo il problema della diffusione delle polveri, rispetto alla scadenza iniziale del 2021, i parchi minerari saranno coperti entro il prossimo anno. Ed entro aprile 2019 ArcelorMittal sarà obbligata a coprire il 50% della zona del parco più vicino al quartiere Tamburi.


Quindi, dalla vicenda Ilva escono tutti vincitori?

No, perché il ministro Di Maio, a dispetto della trattativa andata a buon fine, ha due colpe da farsi perdonare. La prima riguarda i tempi di chiusura della trattativa, l'altra il piano ambientale di cui, comunque, si dice soddisfatto.

Fina da subito, Di Maio ha cercato ogni mezzo perché qualcuno annullasse la gara fatta dal precedente Governo e la conseguente assegnazione dell'Ilva ad ArcelorMittal. Ha iniziato con Anac e gli è stato detto che la gara era corretta. Poi ci ha provato pure con l'Avvocatura dello Stato , ma anche in quel caso non c'è stato nulla da fare, sbandierando però che alcuni aspetti della procedura erano o potevano essere considerati non del tutto corretti.

"Ma per l’annullamento - dice oggi Di Maio - non basta, per legge, l’illegittimità; serve un interesse pubblico concreto ed attuale che non si è verificato, in quanto i fatti risalgono a circa due anni fa. Due anni in cui è successo di tutto. I due anni del delitto perfetto.

Inoltre, se anche una sola azienda avesse chiesto di poter essere reintegrata nella gara, avremmo potuto annullarla per opportunità. Ma l’unica altra cordata che partecipò a questa gara, oggi, dopo due anni, non esiste più."

Ma allora, se Di Maio sapeva già che la gara non poteva essere comunque annullata per i motivi pratici ed evidenti che lui stesso ha elencato, perché mai perdere così tanto tempo nella speranza che ad annullarla fosse un terzo? Secondo lui Anac e Avvocatura dello Stato avrebbero dovuto essere più sprovveduti di lui e dargli il via libera per fare un atto contro la legge?


Ma perché tanto accanimento da parte di Di Maio? Perché in campagna elettorale i 5 Stelle avevano scommesso sulla chiusura degli impianti di Taranto e sulla loro riconversione, con i dipendenti, compresi quelli dell'indotto, che avrebbero dovuto fare altro. Che cosa non era ben chiaro. Il leader "spirituale" dei 5 Stelle, Beppe Grillo, aveva parlato di trasformare l'Ilva di Taranto ("belin, che cosa ci vuole?") in un parco a tema in stile Ruhr, senza però avere ben chiaro che quel parco dà lavoro solo a 50 dipendenti. E gli altri?

Probabilmente, dopo le promesse della propaganda, Di Maio si è reso conto che rimescolare le carte su Ilva sarebbe stato il male minore e così si è arrivati alla trattativa che il 6 settembre ha portato all'assegnazione ad ArcelorMittal.

Per far digerire il boccone amarissimo ai propri elettori, il capo politico dei 5 Stelle l'ha buttata sul personale e sul patetico per dimostrar loro che ancora del MoVimento ci si può fidare:

"Sono un cittadino della terra dei fuochi, ed è lì che ancora ogni giorno respira la mia famiglia, quindi posso capire che cosa provano i tarantini. Nella mia terra per anni ci hanno detto che erano stati firmati nuovi impegni ambientali, ma noi abbiamo sempre chiesto i fatti. Da semplice attivista del MoVimento 5 Stelle per la Terra dei fuochi e i cittadini campani mi sono battuto per anni per chiedere un vero diritto alla salute, mi batterò ora da ministro del MoVimento 5 Stelle perché l’Ilva non inquini davvero e i cittadini di Taranto possano tornare a respirare. La struttura commissariale agirà come un poliziotto ambientale, pronto a intervenire al primo allarme e sempre pronto a vigilare sugli obblighi da rispettare. E le porte del Ministero saranno sempre aperte ai comitati e ai cittadini."

E qual è stata la risposta degli ambientalisti grillini a Taranto? Un sit-in di protesta organizzato in piazza della Vittoria per far sapere a Di Maio che le promesse elettorali sono state tradite!