Il giurista ai microfoni di RDS: “Credo ci sarà un’ampia obiezione di coscienza da parte di molti magistrati inquirenti.

La Camera approva l'emendamento che vieta la pubblicazione - integrale o per estratto - dell'ordinanza di custodia cautelare con cui i giudici convalidano un arresto. Professore siamo di fronte ad una norma di civiltà o a una misura bavaglio?

La risoluzione del problema risiede tutta nel trovare il punto di equilibrio tra libertà di stampa e segreto investigativo, tenendo conto dell’esponenziale progresso tecnologico e delle garanzie costituzionali.  Il diritto di cronaca e il buon andamento della giustizia, svolgono entrambi una funzione sociale e sono tutelati dall’art. 21 e dagli artt. 101, comma 2, e 104, comma 1, della Costituzione. A questo punto occorrerebbe domandarsi: “Per garantire il diritto all’informazione come divulgare taluni atti d’indagine?” Per correttezza d’informazione rilevo che l’ordinanza di custodia cautelare non è un atto segreto. Con la riforma non sarà più pubblicabile fino all’udienza preliminare che potrebbe arrivare anche dopo molto tempo. 

Come rispondere, dunque, alla sua domanda precedente?

Io sono favorevole alla massima trasparenza del procedimento penale, poiché essa è espressione di garanzia e di controllo da parte dell’opinione pubblica anche sulla corretta amministrazione della giustizia. Il problema non risiede però nella trasparenza ma nella patologia della stessa, e cioè nella stortura con cui la medesima si presenta al pubblico. Faccio un esempio. Se faccio apparire un fatto in modo deformato (indagato presentato già come condannato), rischio di compromettere l’esito delle indagini preliminari, di violare la presunzione di non colpevolezza, di ledere la dignità e l’onore, di compromettere la serenità del giudice nell’elaborazione del suo convincimento. La massima trasparenza, senza patologie, garantisce sia la libertà di stampa, sia il giusto processo.

Lei quindi renderebbe accessibile ai giornalisti tutto il materiale investigativo divulgabile?

Quello non coperto da segretezza assolutamente sì. Questo perché così facendo si eviterebbero fughe di notizie e il cd. mercato nero che, con la modifica approvata di recente, crescera in maniera esponenziale.

Lei quindi cosa proporrebbe?

Nulla. Quello che occorre c’è già. Mi riferisco ai princìpi fondamentali di civiltà giuridica che – contenuti negli artt. 6, 8 e 10 CEDU – tracciano perfettamente i rapporti tra stampa e giustizia penale. La libertà di stampa deve rispettare alcuni canoni: 1) veridicità o fondatezza dell’informazione; 2) sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti; 3) oggettiva e chiara esposizione della notizia; 4) esclusione di violazione dei princìpi della corretta amministrazione della giustizia e della presunzione d’innocenza. 

Dai canoni esposti sembrerebbe che i nostri giornalisti investigativi manchino di professionalità?

In primis, non comprendo il concetto di giornalista “investigativo”. Il giornalista è giornalista e basta. Maggiore professionalità, formazione e competenza di chi si occupa di cronaca giudiziaria penso non guasterebbero. Mi piace ricordare in questo contesto Pippo Fava. Il suo giornalismo fatto di verità che “impedisce molte corruzioni, frena la violenza, la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente all’erta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”. “Un giornalista incapace – per vigliaccheria o calcolo – della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere”. Non ci si improvvisa in simili ambiti che spesso hanno a che fare con la vita e la libertà delle persone.

Il giornalista visto come fotografo della realtà?

Direi della verità. È questa la vera funzione sociale e cioè quella di fornire materiali che potrebbero dar origine a un procedimento penale. Il giornalista non fa indagini ma inchieste. Le indagini le fa il pubblico ministero e il suo operato lo valuta il giudice nel processo.

In conclusione come giudica questa riforma testé approvata dalla Camera?

Una riforma inutile e per certi versi rischiosa. Si creerà un “mercato nero” parallelo e il presunto bavaglio non funzionerà soprattutto per chi avrà possibilità economiche di pescare notizie negli ambienti giudiziari. Sarà un passo indietro sulla trasparenza ottenuta con il rilascio di atti ai giornalisti da parte degli uffici requirenti.

Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità del Royal United Services Institute di Londra.