Il promotore immobiliare cinese Evergrande ha chiesto ad un tribunale Usa di poter accedere alle garanzie offerte dalla "chapter 15" (procedura del diritto fallimentare statunitense) in modo da proteggersi dalle azioni legali dei creditori e, allo stesso tempo, presentare una ristrutturazione del debito che, nel suo complesso, ha superato i 300 miliardi di dollari. La ristrutturazione del debito offshore ammonta invece a circa 32 miliardi di dollari e comprende obbligazioni, garanzie e obblighi di riacquisto. Un incontro con i creditori per discutere di una proposta di ristrutturazione è previsto a breve.
Perché la notizia fa scalpore? Perché Evergrande, dopo aver rappresentato per la Cina uno dei principali simboli di ciò che sembrava essere uno sviluppo economico inarrestabile e senza fine, adesso sta diventando il simbolo delle difficoltà economiche di quel Paese.
La "bolla" del settore immobiliare cinese non è esplosa adesso, all'improvviso. È da almeno un paio d'anni che le società del settore, Evergrande in testa, sono in difficoltà, con un sempre crescente numero di aziende che non riescono a vendere gli edifici in costruzione, i cui lavori sono adesso fermi, e non riescono a onorare prestiti bancari e obbligazioni.
In tutto il mondo il settore immobiliare è una cartina di tornasole dell'economia, per quanto è interconnesso con altri settori dell'economia. Infatti per costruire un edificio e consegnarlo chiavi in mano non bastano solo cemento o calce e mattoni.
La Cina aveva previsto per il 2023 una crescita del Pil del 5%. Adesso la previsione è scesa al 4,7%... ma visto quanto sta accadendo non è detto che vi sia un ulteriore calo. Tali valori, per le economie occidentali, sono da considerarsi comunque ottimi. Per la Cina, invece, si tratta di una diminuzione della crescita del 50% e più rispetto al passato, quando il Pil correva a doppia cifra.
Inoltre la crisi del settore immobiliare cinese interessa anche gli investimenti non solo del settore bancario e dei piccoli azionisti, ma anche quello di molte grandi aziende, in alcuni casi neppure tanto floride, che vedono così scomparire oltre ai loro investimenti anche le loro garanzie a supporto della loro attività principale.
Un esempio su tutti è quello di Suning, di cui Zhang Jindong (proprietario dell'Inter) è tra i principali azionisti. Nel 2017 Zhang aveva anticipato ad Evergrande circa 2,6 miliardi di euro, sottoscrivendo azioni destinate alla quotazione in borsa, immaginando i futuro copiosi dividendi. Una promessa che Evergrande ha fatto a molte altre aziende cinesi, tanto da aver raccolto circa 16,65 miliardi di euro. La promessa comprendeva anche che tali investimenti sarebbero stati ripagati entro marzo 2021. Inutile aggiungere che nessuno abbia ancora rivisto quei soldi.
Come si può comprendere, la crisi del settore immobiliare cinese può essere una possibile bomba a orologeria che, nel caso dovesse deflagrare, causerebbe una reazione a catena le cui conseguenze potrebbero essere imprevedibili. Della Cina rurale che poco o nulla ha goduto dello sviluppo e del benessere degli ultimi anni, Pechino non ha di che preoccuparsi. Al contrario, della Cina delle grandi città che invece ha visto cambiare radicalmente, in meglio, le proprie condizioni e il proprio stile di vita, Pechino avrebbe di che preoccuparsi nel caso di una grave crisi economica.
E in uno scenario del genere, le ipotesi su come il governo potrebbe reagire non lasciano tranquilli. Infatti, guardando al passato, dittature come la Cina scelgono anche la strada militare per evitare la protesta interna. Xi Jinping potrebbe così decidere di invadere Taiwan per combattere con il nazionalismo le rivendicazioni economiche dei cinesi. È già accaduto in passato, ad esempio in Argentina con le "Maldive", e non sarebbe certo una novità.
Per questo la crisi immobiliare cinese deve preoccuparci e non poco.