La partita del secolo compie cinquant’anni. Il 17 giugno, allo stadio Azteca di Città del Messico, Italia e Germania Ovest (siamo nel pieno della Guerra Fredda e il muro di Berlino è il simbolo della cortina di ferro) si fronteggiano nella semifinale del mondiale di calcio.
Chi vince, raggiunge in finale il Brasile di Pelé. Sugli spalti ci sono centomila spettatori, altri milioni sono collegati in mondovisione. Per la RAI la telecronaca è di Nando Martellini. Per chi non ha avuto la fortuna di vederla dal vivo, ha avuto l’illusione, di esserci stato avendo ascoltato i racconti dei padri e dei nonni. Alle ore 16 locali, inizia la partita, il caldo è torrido. In Italia è tarda sera di un mercoledì all’apparenza come tanti altri. Dopo solo otto minuti, gli azzurri passano in vantaggio con Bonimba.
Un’Italia risparmiosa che pratica un gioco sparagnino votato al contropiede, è ad un passo dalla finale ma, due minuti dopo il novantesimo, la Germania pareggia con Schnellinger. Si va ai supplementari e qui inizia lo show; la partita diventa memorabile, tanto da meritare una targa commemorativa allo stadio Azteca. Muller porta in vantaggio i tedeschi, Burgnich pareggia. Alla fine del primo tempo supplementare segna Rombo di Tuono. Nel secondo tempo supplementare, su errore di Rivera, subentrato a Mazzola nell’ormai famosa staffetta, la Germania pareggia.
Poco dopo, il golden boy del calcio italiano si riscatta e grazie a un’azione corale porta in vantaggio gli azzurri. E’ il 4 a 3 definitivo. Per molti è il riscatto dell’arte di arrangiarsi contro l’organizzazione e la metodicità, tipicamente teutonici. La finale sarà vinta dal Brasile, ma il mondiale sarà ricordato per sempre per l’alternarsi di emozioni della semifinale.
Si può fare un parallelismo con un altro avvenimento sportivo: la finale del torneo di Wimbledon del 1980 tra Borg e McEnroe. Borg vincerà il suo quinto titolo sull’erba ma il match sarà ricordato per il quarto set vinto dopo un infinito tie break da McEnroe. Questa però è un’altra storia.