Da oltre 20 anni hanno vissuto a Scampia alla Cupa Perillo 700/800 persone rom, prevalentemente di nazionalità serba, una parte di loro anche per la guerra che sconvolse la ex Jugoslavia. Certamente con problemi, anche per l'abbandono in cui li hanno tenuti per tanti anni le nostre sorde, inefficienti e indifferenti istituzioni. E anche ostilità da una parte della popolazione circostante che attribuiva alla comunità rom la piena responsabilità dei tantissimi roghi che avvelenavano l'aria creando disagi e rischi seri per la salute pubblica.

Fenomeno, invece, molto più complesso che vedeva nei frequenti, notturni sversamenti nel Campo da parte di italiani ( spesso padroncini di fabbriche e aziende abusive che così smaltivano scarti di lavorazione, gomme, materiali tossici, perfino amianto) la fonte principale di questi roghi, a volte appiccati da qualche rom, a volte dagli stessi sversatori. Sarebbe bastato controllare, da parte delle forze dell'ordine e della polizia municipale o attraverso l'installazione di impianti di videocamere, l'accesso al Campo, all'inizio della rampa di Cupa Perillo per impedire gli sversamenti e arrestare i responsabili.

Peraltro è quello che chiedevano gli stessi rom in un documento del 2008 inviato a tutte le istituzioni competenti, firmato da 150 capifamiglia con tanto di nome, cognome e nazionalità e che vide l'adesione di una trentina di associazioni del territorio. Tra l'altro in questo documento si chiedeva al Comune e all'Asia di fornire il Campo di appositi contenitori della spazzatura per i rifiuti giornalieri prodotti dalla stessa comunità, costretta invece a versarli sul terreno, con il degrado e i rischi di infezioni connessi. In più si chiedeva un monitoraggio sullo stato di salute di bambini rom, bambini della vicina scuola elementaare, bambini del territorio circostante.

Questo documento produsse più incontri in Prefettura con un importante impegno dell'allora Vice-Prefetto, donna assai sensibile,in grado di far intervenire tutti gli Enti e le Istituzioni competenti. Ma la sordità fu assordante e dopo qualche intervento di bonifica tutto ricadde nell'inerzia di sempre. Occasione clamorosamente fallita, dieci anni persi, non per la volontà dei rom ma per la responsabilità delle nostre istituzioni.

Recentemente poi l'ordinanza di sgombero della Procura di Napoli per il 12 settembre, dopo una denuncia di alcuni consiglieri municipali di destra e, purtroppo, qualcuno anche della maggioranza capeggiata dal PD, ha provocato un inedito processo di democrazia dal basso con lo svolgimento di numerose assemblee dove i rom hanno preso la parola rivendicando con orgoglio i propri diritti e assumendosi anche l'impegno di denunciare i responsabili degli sversamenti, come in effetti avevano cominciato a fare nei giorni precedenti l'incendio.

Siamo ad oggi, un incendio devastante ha cancellato alcune baracche dove vivevano 26 persone. Non è ancora chiara la natura colposa o dolosa dell'incendio. i rom che hanno perso la casa hanno prodotto una denuncia contro ignoti. E' augurabile che l'investigazione si svolga con la celerità e il rigore necessari.

Dopo il trasferimento immediato delle 26 persone all'Auditorium "Fabrizio D'Andrè" di Scampia ( sostenuto anche dalla solidarietà e dalla raccolta di beni di prima necessità di tanti cittadini e associazioni del territorio) come soluzione di emergenza, le rilevazioni ARPAC sul Campo hanno evidenziato una condizione di tossicità incompatibile con la presenza umana e, quindi, l'esigenza di un celere sgombero. L'Amministrazione comunale ha individuato nella caserma Boscariello, che separa Scampia da Miano, la soluzione per il trasferimento temporaneo di alcune centinaia di rom in uscita dal Campo. Ed è sembrata una soluzione ragionevole in attesa di quella definitiva, anche per l'esigenza dei bambini e ragazzi rom di riprendere la scuola lì dove l'avevano lasciata.

Questa la breve storia della comunità rom che vive da oltre 30 a Scampia, una comunità seguita senza alcun tornaconto e su base volontaria da diversi religiosi e da alcune associazioni, con un impegno difficile ma tenace di solidarietà ed integrazione (molti sono i bambini rom che frequentano la scuola e le attività culturali e di gioco che si svolgono sul territorio fino al famoso Carnevale del Gridas; alcune donne rom partecipano alla inedita esperienza di un ristorante multietnico con ChiKu).

Per tutto questo appare veramente sconcertante la reazione della VII Municipalità e di una parte della popolazione di Miano rispetto al trasferimento temporaneo di qualche centinaio di persone chiuse e accampate in una caserma. Né gli eventuali lavori per la destinazione ad impiantistica sportiva della caserma traggono danno da qualche mese utilizzato per questa emergenza, visto che al momento non c'è niente di operativo, né il progetto, quanto meno il bando dei lavori.

Razzismo? Si, razzismo bello e buono. La speranza è che la maggioranza dei cittadini di Miano alzi la bandiera della solidarietà, dell'umanità, della civiltà. Oltre la siepe non c'è il buio, non ci sono mostri, ci sono persone, povera gente che vive in condizioni indegne. E quì c'è tanta responsabilità nostra.


Gennaro Sanges