Il dibattito sul suicidio assistito in Italia continua ad essere oggetto di discussioni pro e contro ma continua ad essere ancora non regolamentato da una legge nazionale.

La Regione Emilia-Romagna ha fatto un passo avanti per chi sceglie di porre fine alla propria vita con l’ausilio di un medicinale mortale, stabilendo tempi e modalità chiare per accedere al “fine vita”. Tuttavia, manca ancora una legge nazionale che riconosca appieno questo diritto. 

L’Emilia-Romagna è la prima regione italiana a offrire a una persona la possibilità di morire con il suicidio assistito, cioè l’auto-somministrazione di una sostanza letale. Lo ha fatto con una delibera che indica il percorso e i requisiti che il paziente deve soddisfare per accedere al “fine vita”, il termine entro cui attuare la procedura e le linee guida per gli enti che devono esaminare la richiesta. Nello stesso periodo dell’approvazione della delibera, l’Assemblea legislativa ha ricevuto anche la legge di iniziativa popolare promossa dall’associazione Luca Coscioni, che dovrà essere dibattuta. Come era prevedibile, il tema della morte assistita ha scatenato un confronto politico e ideologico tra le forze politiche in Regione e non solo. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza per capire perché la delibera è un’innovazione importante e cosa ci si può aspettare nei prossimi mesi.

Le norme stabilite dall’Emilia-Romagna colmano il vuoto normativo che c’è in Italia - pur essendo il suicidio assistito legale - e hanno lo scopo di assicurare “al malato il diritto di lasciare la vita nel rispetto della sua volontà, autodeterminazione e dignità e nel rispetto dei criteri definiti dall’Alta Corte”. La Regione ha redatto le linee guida a cui le Aziende sanitarie dovranno attenersi per gestire il percorso del suicidio assistito, dalla richiesta del paziente fino alla somministrazione del farmaco. In sintesi, la domanda deve pervenire a un’Asl regionale con tutta la documentazione sulla situazione sanitaria del paziente, tra cui l’attestato della sua volontà prodotto direttamente dalla persona. Entro 42 giorni la richiesta deve essere valutata dalla Commissione di valutazione di Area Vasta, il comitato tecnico-scientifico e che deve visitare il paziente, verificare le sue condizioni e la presenza di possibili alternative al fine vita e definire il modo in cui realizzare il suicidio senza aumentare le sofferenze del richiedente. La Giunta regionale ha istituito anche il Corec (Comitato regionale per l’etica nella clinica) che deve fornire consulenze etiche e pareri sui singoli casi, con particolare attenzione riguardo a quelli più complessi dove ci può essere un conflitto di valori - per esempio tra la volontà del paziente e quella dei famigliari - oltre ad attività di formazione per il personale sanitario. Il Corec è formato da 22 tra medici, giuristi ed esperti di bioetica che rimangono in carica per tre anni. L’accesso alla morte assistita è consentito soltanto se vengono rispettati rigorosamente i criteri che la Corte Costituzionale ha fissato “per evitare abusi e arbitrii”: il paziente deve essere affetto da una patologia irreversibile che causa sofferenze fisiche o psicologiche che ritiene insopportabili, è tenuto in vita da un trattamento di sostegno vitale ed è pienamente in grado di prendere decisioni libere e consapevoli. La procedura sanitaria è a carico del Servizio Sanitario Nazionale e quindi gratuita per il paziente.

Fine Vita: pro e contro a confronto

Sul piano politico la delibera non ha la stessa forza di una legge, perché è uno strumento che può essere ritirato in qualsiasi momento da una giunta diversa da quella attuale. La legge arrivata in Assemblea legislativa è quella di iniziativa popolare dell’associazione Luca Coscioni, che ha raccolto 7mila firme e che deve essere discussa entro 12 mesi. Promulgando una delibera, la maggioranza guidata da Stefano Bonaccini sta cercando da un lato di dimostrarsi sensibile sul tema del fine vita, e dall’altro rimandare il più possibile il momento della discussione.

La mancanza di una legge nazionale sul suicidio assistito

 La Costituzione afferma che “nessuno può essere costretto ad alcun trattamento sanitario contro la propria volontà” e che “la libertà personale è inviolabile”. In Italia il suicidio assistito è legale non per via di una legge ma per una storica sentenza della Corte Costituzionale emessa nel 2019 in seguito al “caso Cappato-Dj Fabo”. Il suicidio medicalmente assistito in determinati casi e la sospensione delle cure – intesa come “eutanasia passiva” – costituisce un diritto inviolabile in base alla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale e alla legge 219/2017.Nel 2017 Marco Cappato, membro dell’associazione Luca Coscioni, aveva portato in Svizzera Fabiano “Dj Fabo” Antoniani, 40enne cieco e tetraplegico a causa di un grave incidente stradale che da anni viveva con l’aiuto di un ventilatore artificiale e chiedeva di poter accedere il suicidio assistito. Al termine del processo per istigazione al suicidio, l’Alta Corte ha stabilito che una persona che aiuta un’altra a morire non è punibile nei casi che presentano i requisiti menzionati prima, e Cappato è stato assolto. Anche molte altre storie sono diventate dei casi nazionali di disobbedienza civile, come quelle di Eluana Englaro, Piergiorgio Welby e Sibilla Barbieri. Fine vita: “Mia madre in Svizzera per terminare una sofferenza insopportabile” In mancanza di una legge, molta discrezionalità viene lasciata alle Aziende sanitarie locali, che possono anche rifiutare le richieste di suicidio assistito. Come nel caso del marchigiano Antonio, che ha avviato una causa legale contro l’Asur delle Marche dopo che questa si era opposta a verificare le sue condizioni mediche per iniziare l’iter verso la morte assistita. Nonostante l’ordine del Tribunale a procedere, attualmente Antonio sta ancora aspettando il parere dell’Asur. In Emilia-Romagna, le linee guida stabilite dalla Regione risolverebbero questo tipo di problema. 

Le parole del fine vita

Il suicidio medicalmente assistito è l’atto in cui una persona, nelle sue piene capacità cognitive, fa richiesta e si auto-somministra un farmaco per morire e porre fine alle proprie sofferenze. In Italia è possibile in determinate circostanze. È diverso dall’eutanasia, che invece è l’atto da parte di un medico di provocare intenzionalmente e in modo indolore la morte di una seconda persona cosciente, che è in grado di capire le conseguenze delle proprie azioni e che ne fa esplicita richiesta. In Italia l’eutanasia è illegale. I trattamenti di sostegno vitale, la cui presenza è uno dei requisiti per accedere al suicidio assistito, sono strumenti esterni, impiantati o terapie fondamentali per mantenere in vita il paziente come, ad esempio, ventilatori o pompe cardiache. Un paziente può chiedere la sospensione dei trattamenti sanitari e può rifiutare le cure come la somministrazione dei farmaci, la nutrizione o l’idratazione artificiale anche se questo può causare in modo diretto o indiretto la sua morte. È una scelta prevista dalla Costituzione. La sedazione palliativa continua e profonda avviene somministrando alla persona richiedente dei farmaci sedativi in quantità tali da annullarne la coscienza, con lo scopo di alleviarle sofferenze altrimenti intollerabili. Possono farvi ricorso persone affette da malattie in stadio avanzato e i cui sintomi sono altrimenti intrattabili.