Salute

Fondazione GIMBE: il contagio rallenta ma è sempre alto il numero degli attualmente positivi

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 25 novembre - 1 dicembre, rispetto alla precedente, una diminuzione dei nuovi casi (165.879 vs 216.950), a fronte di un calo dei casi testati (672.794 vs 778.765) e di una riduzione del rapporto positivi/casi testati (24,7% vs 27,9%).

Calano del 2,3% i casi attualmente positivi (779.945 vs 798.386) e, sul fronte degli ospedali, diminuiscono sia i ricoveri con sintomi (32.811 vs 34.577) che le terapie intensive (3.663 vs 3.816); ancora in aumento i decessi (5.055 vs 4.842). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 5.055(+9,9%)
  • Terapia intensiva: -153(-4%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.766 (-5,1%)
  • Nuovi casi:165.879(+11,4%)
  • Casi attualmente positivi: -18.441(-2,3%) 
  • Casi testati -105.971(-13,6%)
  • Tamponi totali: -85.654(-5,8%)

«Si conferma – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la riduzione dell’incremento percentuale dei casi totali (11,4% vs 17,5%), del numero di nuovi casi settimanali (165.879 vs 216.950)e, in misura minore, del rapporto positivi/casi testati (24,7% vs 27,9%) a fronte di una sensibile riduzione dei casi testati (-13,6%)».

Se il calo dei nuovi casi da un lato è dunque attribuibile all’effetto delle misure introdotte, dall’altro risente dell’inspiegabile riduzione di quasi 106 mila casi testati.

«Le misure di contenimento – continua il Presidente – si riflettono anche sulle curve degli attualmente positivi, di ricoveri e terapie intensive, che sembrano avere superato il picco e iniziato la fase discendente, mentre la curva dei decessi continua a salire».

Tuttavia, la soglia di occupazione per pazienti COVID rimane oltre il 40% nei reparti di area medica in 15 Regioni e quella del 30% nelle terapie intensive in 16 Regioni. E dove i tassi di occupazione sono molto più elevati, precisa Cartabellotta, «i pazienti COVID-19 “invadono” altri reparti limitando la possibilità di curare pazienti con altre patologie e determinando il rinvio di altre prestazioni, interventi chirurgici inclusi».

Risulta evidente che sull’allentamento delle misure del 29 novembre, deciso sulla base dei criteri del DPCM 3 novembre, pesa di fatto solo la riduzione dell’indice Rt, visto che tutti gli altri indicatori sono peggiorati rispetto al 6 novembre, tranne rare eccezioni.

«La nostra analisi – ribadisce Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE –conferma che, Rt a parte, non si intravedono risultati tangibili a 3 settimane dall’introduzione delle misure. Inoltre, suggerisce che sbiadire troppo presto il colore delle Regioni rischia di determinare una risalita prima dell’indice Rt, poi della curva epidemica e quindi dei tassi di ospedalizzazione. In altre parole, con la circolazione del virus ancora troppo elevata per riprendere un efficace contact tracing e con la pressione sugli ospedali molto alta, i primi timidi segnali di miglioramento rischiano di essere vanificati dall’allentamento delle misure».«L’entità del miglioramento di alcuni parametri – spiega Cartabellotta – è peraltro sovrastimata sia da ritardi di notifica e completezza dei dati comunicati dalle Regioni, sia da alcuni fattori di non sempre chiara interpretazione. Diminuzione dei casi testati e limitata esecuzione del tampone nei contatti di positivi, con conseguente riduzione dell’incidenza di nuovi casi; ritardo di comunicazione delle date di diagnosi, prelievo e inizio sintomi, che abbassano il valore dell’indice Rt; conversione di posti letto di area medica destinati a pazienti affetti da altre patologie, con conseguente riduzione del tasso di occupazione ospedaliera».«A poche ore dalla firma del nuovo DPCM – conclude Cartabellotta – che dovrebbe guidare i nostri comportamenti  sino alla fine delle festività natalizie, la Fondazione GIMBE chiede al Governo di mantenere la linea del rigore, al fine di evitare una nuova inversione della curva del contagio ed aumentare la pressione, già intensa, sugli ospedali dove i professionisti sanitari sono al limite dello stremo. Chiediamo inoltre di rivedere le tempistiche per ridurre l’intensità del colore delle Regioni: i dati confermano infatti che due settimane di “osservazione” sono insufficienti per valutare un miglioramento tangibile sulla curva dei contagi e, soprattutto, sui tassi di ospedalizzazione. In tal senso, l’ipotesi di un “Italia tutta gialla” in tempi brevi è più un desiderata della politica che una strategia di controllo dell’epidemia».

Autore Sandro Alioto
Categoria Salute
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