di Lucia De Sanctis La Corte costituzionale ha dichiarato alcuni giorni fa illegittimo il “visto di censura” della corrispondenza tra detenuti mafiosi al 41-bis e i loro difensori. La Consulta afferma che il diritto di difesa includa il diritto di comunicare in modo riservato con il proprio legale. Abbiamo chiesto in merito un’opinione a Vincenzo Musacchio, giurista, criminologo esperto di strategie di lotta alla criminalità organizzata. 


Professore secondo lei è giusto controllare preventivamente la corrispondenza dei boss dal carcere nel rapporto con il proprio difensore?
Sinceramente mi stupisce tutto questo clamore e questa attenzione su una questione più volte affrontata dalla dottrina e dalla giurisprudenza. La corrispondenza tra sottoposto al regime di 41 bis e difensore non è una problematica di semplice risoluzione. Andrebbero bilanciati cum grano salis il diritto alla difesa con il diritto alla sicurezza e all’ordine pubblico. Il fulcro della questione a mio avviso è tutto qui.

Ci spiega meglio? Cerco di essere più comprensibile. Le limitazioni alla corrispondenza tra detenuti al 41 bis e difensori non possono non tener conto delle particolari funzioni di tale rapporto e del principio di proporzionalità. Non si pretende di aprire una busta destinata a un difensore per cercare eventuali messaggi a prescindere. Il detenuto al 41 bis ha sicuramente il diritto di comunicare con il suo difensore, quindi di scrivere e ricevere lettere. Ciò non significa però che abbia un diritto allo scambio di corrispondenza totalmente privo di alcun controllo. I boss sanno come inviare testi suscettibili di contenere messaggi pericolosi e questo rischio non può essere consentito in senso assoluto.

La Corte dunque non avrebbe focalizzato bene il problema? Su questo non mi esprimo. Dico soltanto che al 41 bis non abbiamo solo mafiosi ma anche terroristi e rendere assoluto il divieto di qualsiasi controllo credo non sia la scelta più consona per una lotta alle mafie e al terrorismo concretamente incisiva. Ricordo che l’utilizzo di comunicazioni cifrate o pericolose da parte di boss mafiosi non è nuova. Ci sono casi in cui il controllo epistolare può considerarsi legittimo se non addirittura doveroso.

Ci fa un esempio concreto? Una missiva chiusa che esca dal carcere con un ordine di commettere un omicidio o una strage. Tra la compressione del diritto di comunicare con il difensore e la vita umana nel bilanciamento dei valori io propenderei per il secondo. Credo che lo Stato abbia il dovere di impedire che dal mancato controllo possa derivare un pregiudizio al valore della vita umana. Il diritto alla riservatezza in tali casi “non può essere assoluto”. Quando sia possibile occorre impedire ai boss o ai terroristi di comandare dal carcere. Verificata la pericolosità di una corrispondenza, sarei molto cauto nel dire che non si possa trattenere solo perché sia diretto a un difensore.

Cosa pensa della polemica che si è creata sul fatto che gli avvocati possano essere strumento per portare ordini dei boss fuori dal carcere? Guardi io mi annovero tra coloro che ritengono importantissimo il ruolo degli avvocati, vanno rispettati e tutelati, ma ciò non esclude che l’immenso potere economico e la violenza dei boss mafiosi possa indurli o costringerli nel tentativo di inviare ordini all’esterno. Ricordo un avvocato che lesse a nome di Cutolo una comunicazione diretta alla Corte d’assise di Napoli con messaggi intimidatori velati all’apparenza ma chiarissimi nel linguaggio camorristico. Il suo ruolo e il suo potere, in e dal carcere furono poi confermati dalla Commissione Parlamentare Antimafia nella sua prima Relazione sul fenomeno della Camorra del 1993. Come vede non è tutto ora ciò che luccica.