La strenua lotta di Salvini per erodere consenso elettorale all'alleata Giorgia Meloni in vista delle prossime europee, vede impegnato il segretario della Lega in una giornaliera e stancante azione di propaganda in cui attacca, blandisce, vieta, promuove, impone, dispone e, soprattutto, si esprime con parole di condanna o approvazione, a seconda della convenienza, su qualunque tema possa ritenere in qualche modo utile a fargli guadagnar voti tra confuse  casalinghe in menopausa drogate di Facebook, adoratori del dio Po, odiatori di migranti a cui si è fatto credere che da questi ultimi derivino tutti i mali del mondo, secessionisti veneti, ecc.

Pertanto, con tutto quel che accade in Medio Oriente, ecco che il propagandista della Ghisolfa, il costruttore di ponti e di centrali nucleari un tanto al chilo, adesso si è inventato di organizzare una manifestazione a Milano per il 4 novembre per chiamare a raccolta la maggioranza silenziosa che non è disposta a cedere altro spazio ai "fanatici".

In pratica, il fanatico Salvini che si riempiva di rosari e vangeli dichiarando di fare politica in nome e per conto della Madonna, adesso dice di voler

"difendere i nostri valori occidentali e far sentire la voce della maggioranza silenziosa di italiani e stranieri perbene che non è più disposta a cedere altro spazio al fanatismo e all'estremismo islamico, all'antisemitismo strisciante, a ideologie di morte che spargono sangue nel cuore dell’Europa.Sabato 4 novembre, a Milano, la Lega sarà in piazza insieme a tutte le forze politiche, economiche, culturali e sociali che vorranno dire: basta a violenza e terrore, zero tolleranza verso chi mette in pericolo i fondamenti della nostra società.Ricordando la grande e indimenticabile Oriana Fallaci, che prima di tutti ci aveva avvisati e ammoniti".

Naturalmente, non è una manifestazione contro Israele che sta commettendo un genocidio a Gaza, ma neppure a favore della pace. E visto che nessuna condanna è arrivata contro il massacro messo in atto dallo Stato ebraico, si deve intendere che l'uccisione indiscriminata dei civili a Gaza sia un atto da lui approvato e supportato... in fondo quelli sono per lo più, ma non solo, musulmani. Sicuramente, Salvini non sa neppur che tra i palestinesi vi è una percentuale di cristiani che prima del loro sterminio promosso da Israele con il supporto dell'occidente era addirittura pari a quella degli islamici.

Ma Salvini non si accontenta nell'aver già ampiamente mostrato al mondo quanto sia inconsapevole e, pertanto, enormemente ignorante. In questa corsa nel voler dare il peggio di sé ha voluto aggiungere un'altra perla... quella in cui accusa la Boldrini di voler infangare i "nostri nonni" per aver presentato un disegno di legge per introdurre una ricorrenza per ricordare (per stigmatizzarle) le "presunte" malefatte coloniali di cui sono stati responsabili gli italiani durante il fascismo.

Per forza a Salvini doveva sbroccare il neurone, apprendendo una notizia del genere che comprende la condanna dei fascisti, che evidentemente per lui erano "brava gente" e le loro malefatte, che lui definisce presunte, dimostrando ancora una  volta, l'ennesima l'enorme ignoranza che lo supporta.

Ecco che cosa dice in proposito l'articolo di Fabrizio Berruti su l'Atlante di Treccani riguardo ai fascisti brava gente e alla guerra coloniale in Africa ( www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Il_colonialismo_pagina_rimossa.html ):

21 maggio 1937 Debra Libanòs, Etiopia, 80 km a nord della capitale Addis Abeba.Debra Libanòs è il più importante centro religioso dei cristiani copti: qui vivono centinaia di monaci e transitano fedeli provenienti da tutta l’Etiopia. Molti malati affidano le loro speranze di guarigione all’acqua benedetta della fonte. Ed è proprio qui che quella mattina del 1937 si presentarono le truppe guidate dal generale Pietro Maletti. Secondo gli italiani quel luogo di culto e di preghiera era, in realtà, un centro di resistenza contro l’occupazione coloniale. Siamo nelle settimane successive all’attentato contro il viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani, avvenuto il 19 febbraio, e il Paese è sconvolto dalle feroci rappresaglie italiane. I soldati radunarono centinaia di monaci etiopi e li uccisero. Il generale Graziani telegrafò a Roma: «Il generale Maletti ha destinato al plotone di esecuzione 297 monaci, incluso il vice-priore, e 23 laici sospetti di connivenza». A questi si aggiungeranno, nei giorni successivi, altri 129 diaconi facendo salire la stima ufficiale dei morti a 449. Secondo alcuni recenti studi storici dell’inglese Ian L. Campbell e dell’etiopico Degife Gabre-Tsadik, il numero delle vittime è molto superiore e oscilla tra 1.400 e 2.000. Una vera strage la cui memoria pesa ancora oggi.Una strage di cristiani da parte di altri cristiani. A eseguire materialmente molte di quelle fucilazioni furono, però, gli ascari libici e somali di fede musulmana e gli uomini di etnia Galla della banda di Mohamed Sultan (45° Battaglione coloniale musulmano).Non fu una guerra semplice quella in Etiopia. Alla vittoria, rapida e trascinante, degli italiani seguì un lungo periodo di resistenza armata che rese il Paese ingovernabile. La repressione italiana fu durissima e lo fu ancor di più dopo l’attentato a Graziani. In quei mesi l’Etiopia fu funestata da diversi bombardamenti con il gas, pratica espressamente proibita dalla comunità internazionale. Gli italiani negarono sempre l’uso indiscriminato di gas, ma ormai le testimonianze e i documenti non lasciano spazio a dubbi sulle intenzioni italiane. Fu lo stesso Benito Mussolini, con un ordine scritto, ad autorizzare e richiedere espressamente l’utilizzo del gas per piegare la resistenza etiope. Alla luce di questi fatti è diventato sempre più difficile, negli anni, accettare la vulgata degli ‘italiani brava gente’.In alcuni momenti ci fu la voce isolata di Angelo Del Boca, giornalista e massimo esperto del colonialismo italiano in Etiopia e in Libia, che continuava a documentare, con storica precisione, i crimini italiani in quel periodo, nella diffidenza generale. Era più accattivante, dal punto di vista mediatico, il racconto di un giovane Indro Montanelli e della moglie minorenne all’interno di un racconto storico sintetizzabile in frasi fatte come «abbiamo costruito loro bellissime strade e città».Ma quella memoria pesa ancora, specialmente ora che si è riaperto il dibattito storico sul colonialismo e sull’atteggiamento che dovrebbero avere i Paesi ex colonialisti nei confronti delle ex colonie. Si discute di patrimonio artistico, impropriamente delocalizzato nei Paesi europei e che dovrebbe, in qualche maniera, tornare nei Paesi di origine. Emblematica la storia della grande stele di Aksum: portata in Italia come trofeo della conquista dell’Etiopia fu collocata nella capitale in piazza Porta Capena, il 28 ottobre del 1937, in occasione delle grandi celebrazioni per i 15 anni dalla marcia su Roma. Dopo la guerra si è aperta una lunga diatriba internazionale per la restituzione della stele che sarebbe stata ricollocata nella sua area originale, ad Aksum. Dopo oltre 70 anni l’obelisco è stato restituito all’Etiopia e posto accanto alla stele gemella nel corso di una celebrazione ufficiale, il 4 settembre 2008, alla presenza di migliaia di persone, delle massime autorità etiopi e della delegazione italiana guidata dall’allora sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica.Sembrava chiudersi così una dolorosa pagina della nostra storia.Rimangono, però, ancora molte ferite aperte e la più sanguinosa è sicuramente quella legata al ricordo della strage di Debra Libanòs, ma anche e soprattutto quelle legate al silenzio che in questi anni è stato imposto alla conoscenza di una pagina così importante e penosa della nostra storia.

L'umana pietà, quella di cui Salvini non dispone, ci impedisce di aggiungere altro.