È di qualche giorno fa il report della Fondazione Di Vittorio su Ore lavorate e Pil dieci anni dopo. Nel 1° trimestre 2018 il numero degli occupati ritorna ai livelli precedenti la crisi, bene. Ma il report dice anche un'altra cosa, meno positiva: lo stesso non avviene per la quantità di ore lavorate.

Quindi, mentre il numero di persone occupate recupera il livello massimo toccato prima della crisi, nello stesso tempo la quantità di lavoro effettivamente prestata nel primo trimestre 2018 è ancora inferiore di 693 milioni di ore a quella dello stesso trimestre del 2008.

Una differenza che corrisponde a -1,2 milioni di unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (ULA), che rappresentano il numero di ore necessario per coprire continuativamente ad un orario standard un posto di lavoro.

«La divaricazione tra l’andamento delle ore e quello degli occupati - secondo Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio - segnala, assieme ai dati sul tempo determinato e sul part time involontario, il peggioramento della qualità dell’occupazione», un aspetto che il partito del Jobs Act ha finora fatto finta di ignorare.

Gli occupati a tempo determinato nel 1° trimestre del 2018 sono 2,92 milioni, 600 mila in più rispetto allo stesso periodo del 2008. Sempre nel 1° trimestre 2018, il part-time (di cui oltre il 64% involontario) si attesta, invece, a quota 4,27 milioni, un milione in più rispetto allo stesso periodo del 2008.

Altro elemento utile a comprendere questo andamento è la relazione tra Pil e ore lavorate. Nel 1° trimestre 2018 il Pil è inferiore del 5,5% rispetto al livello di dieci anni fa, mentre le ore lavorate sono inferiori del 6%.

«Questi numeri - sempre secondo di Fulvio Fammoni - confermano che quantità e qualità del lavoro sono prevalentemente legate ai meccanismi dello sviluppo e molto meno ad interventi normativi o di temporanea incentivazione.»