Aveva fatto ben sperare la decisa presa di posizione in difesa degli Indios di Inácio Lula da Silva appena eletto presidente del Brasile.

Contro quello che possiamo definire quantomeno un tentativo di genocidio (operazione che il presidente precedente, Jair Bolsonaro, aveva non solo tollerato ma anche favorito).

Apprezzabile per esempio l'invio dei soldati nella riserva degli indigeni Yanomani (circa 30mila, tra gli stati di Roraima e Amazonas) dove la situazione era diventata ormai disperata (foreste devastate, inquinamento delle acque, malattie - malaria e altro - e denutrizione, soprattutto per i bambini).

Una catastrofe umanitaria e ambientale, effetto collaterale (ma neanche tanto "collaterale") dell'invasione di oltre 20mila cercatori d'oro fai-da te (illegali) che - oltre a disboscare e sparare agli indigeni - utilizzano il mercurio per estrarre l'oro, contaminato corsi d'acqua e falde acquifere. Non solo. In precedenza avevano anche distrutto almeno quattro tra centri medici e ambulatori.

Lula, si diceva, aveva espresso non soltanto a parole l'intenzione di una radicale inversione di rotta.

Ma ora sembra che stiamo tornando al punto di partenza.

Un pessimo segnale è arrivato il 24 maggio quando deputati e senatori della Commissione mista (legati all'agro business) hanno votato a favore di una serie di - pessime - variazioni alla "misura provvisoria 1.154". Indebolendo, di fatto invalidando, le possibilità di intervento dei ministeri dell'Ambiente e dei Cambiamenti Climatici e dei Popoli Indigeni. Spingendosi a minacciare, oltre all'Amazzonia, anche il relativamente integro ecosistema costiero della Foresta Atlantica.

Naturalmente i rappresentanti delle comunità indigene non sono rimasti a leccarsi le ferite, ma hanno reagito denunciando la nuova proposta di legge che renderebbe vuoti di contenuto i diritti degli autoctoni e alimenterebbe la deforestazione. Basti dire che limiterà la creazione di nuove riserve indigene solo alle terre che risultavano occupate dagli autoctoni prima del 1988 (anno della promulgazione dell'ultima costituzione brasiliana). Un elemento ulteriore che conferma la potenza della lobby dell'industria agricola.

In questi giorni si stanno svolgendo molte proteste con anche blocchi delle autostrade e scontri con la polizia. I manifestanti hanno inalberato cartelli con scritto "Noi esistiamo da prima del 1988".

Ricordando anche che molte comunità tribali vennero espulse con la forza dai loro territori ancestrali durante la dittatura militare (durata fino al 1985), rientrandovi solo in epoca più recente.

Mentre gli indigeni impugnano archi e frecce, le forze dell'ordine sparano granate lacrimogene e utilizzano cannoni ad acqua.

Attualmente i territori indigeni formalmente riconosciuti in Brasile sono 764 (la maggior parte in Amazzonia). Ma quasi la metà non sono state ancora delimitate rimanendo sospese in una sorta di limbo legislativo.

(Fonte: Riforma.it)