Un allarme senza precedenti scuote il sistema sanitario veneto: circa 8.000 tra medici e infermieri hanno abbandonato il servizio pubblico negli ultimi cinque anni. A rivelarlo è Anna Maria Bigon, consigliera regionale del Partito Democratico e vicepresidente della commissione sanità, attraverso dati ottenuti dalla Regione su sua richiesta di accesso agli atti. I numeri, definiti “eloquenti” dalla stessa Bigon, disegnano un quadro critico per una regione storicamente considerata un’eccellenza nella sanità pubblica.
Dal 2019 al 2024, in Veneto sono state presentate 3.043 dimissioni volontarie tra i medici e 4.967 tra gli infermieri, per un totale di 8.010 professionisti usciti dal sistema. Un esodo che, come sottolinea Bigon, equivale al 40% dei medici attivi nella regione. “Solo pochi anni fa, lavorare nel servizio pubblico era un onore. Oggi rappresenta un sacrificio insostenibile”, ha dichiarato la consigliera, puntando il dito contro le condizioni di lavoro sempre più precarie.
Secondo l’esponente del PD, alla base della fuga ci sono orari massacranti, mancato rispetto delle ferie e retribuzioni ben al di sotto della media europea. “La dignità del lavoro è minata da una quantità sproporzionata di ore di servizio e dall’impossibilità di conciliare vita professionale e privata”, ha spiegato Bigon, evidenziando come il problema economico giochi un ruolo cruciale. I salari del personale sanitario veneto, infatti, non reggono il confronto con quelli di altri Paesi UE, rendendo il settore pubblico poco attraente rispetto alle opportunità offerte dal privato o dall’estero.
Bigon accusa la Giunta regionale di non intervenire con misure adeguate per fermare l’emorragia. Nonostante l’emergenza, la spesa per il personale sanitario nel 2025 è stata fissata a 3,316 miliardi di euro, con un aumento di appena 118,4 milioni rispetto al 2024. “Una cifra irrisoria, che non permette neppure interventi tampone”, ha commentato la vicepresidente della commissione sanità, sottolineando come le risorse allocate siano lontane da quelle necessarie per assumere nuovo personale o migliorare le condizioni esistenti.
L’abbandono di migliaia di professionisti rischia di compromettere la qualità dei servizi offerti ai cittadini, con reparti sempre più sottodimensionati e liste d’attesa in crescita. Senza un’inversione di tendenza, avverte Bigon, il sistema potrebbe raggiungere il collasso, con ripercussioni gravi soprattutto nelle aree periferiche e per i pazienti più fragili.
La consigliera chiede alla Regione di “colmare questa voragine” attraverso investimenti strutturali, piani di assunzione e rinnovati contratti che garantiscano salari competitivi e diritti fondamentali, come il riposo. “Servono scelte coraggiose, prima che sia troppo tardi”, conclude Bigon, ricordando che la sanità pubblica è un pilastro del welfare e della coesione sociale. Intanto, l’esodo continua, e con esso l’incertezza per il futuro della salute in Veneto.