Naturalmente non avete bisogno che vi spieghi le trame delle sue pellicole: o conoscete l'opera di Carlo o non sareste qui a leggere.  Ne tratterò solo una parte, quella che mi ha portato alla maturità del suo lavoro. Risparmierò le eccessive citazioni di battute, salvo necessità assoluta.

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Devo confessare  che detesto la storia dei backstage, i retroscena,  un  aspetto che non mi appassiona, a parte il caso di Via col Vento. Sulla costruzione del kolossal americano per eccellenza fu girato un docufilm negli anni settanta, che presentava molti punti di interesse, sia per gli effetti speciali d'epoca, che per le vite degli attori protagonisti. E' una perla di interesse raro, credo pressoché introvabile ormai e resta un unicum.

Già quando, in seguito, mi capitò di leggere una biografia di Stanley Kubrick e venni a sapere come si era giunti alla sceneggiatura definitiva di "Barry Lyndon" , uno dei miei film preferiti, rimasi così delusa, che mi confermai nella mia opinione di non curiosare dietro le quinte.

Detto questo, siccome, sfidando anche il sopracciglio alzato di molti, da tempo mi dichiaro verdoniana, vado a spiegarne le ragioni. Non ho pretese di critica cinematografica, ma solo " spettatoriale", ecco un neologismo.

Inizia tutto con uno spoiler. Oggi ci hanno fatto perfino una trasmissione, allora lo chiamavamo in altri modi, anche pesanti e se lo meritava.

E' una domenica pomeriggio di primavera del 1981, ma il cielo è plumbeo, la pioggia appesa. Con il mio allora fidanzato, Claudio, ci buttiamo in un cinema, l' Ideal di Corso Monte Grappa, a Genova.

Allora funzionava così: i film "top" , o ritenuti tali, venivano proiettati nelle sale del centro,  di "prima visione", per anni, a Genova,  in mano a un unico proprietario; queste pellicole rimanevano in programmazione per il periodo del maggiore incasso, poi passavano nelle sale "intermedie", cosiddette  "prosecuzione di prima visione", quale appunto era l'Ideal.

Si scendeva poi in quelle di "seconda visione"; in fondo al percorso, si attestavano i cinema di estrema periferia, un po' scalcagnati: vi abbondavano le coppiette a "limonare" tra i sedili sfondati e proiezioni di vecchissimi film deteriorati, o destinati a rimanere senza spettatori per l'assoluta inconsistenza o, ancora, semiporno.

Un discorso a parte erano i cinema "d'essai", in cui potevi trovare i film "cult" ( ci vidi "Teorema" di Pasolini, per dirne una) e, infine, quelli per il porno vero e proprio.

A completare il quadro c'erano i cinema parrocchiali dove, fino a qualche anno fa, pure si riusciva a vedere qualcosa della produzione di nicchia. Ne sono rimasti pochissimi.

Ricordo ancora com'ero vestita quella grigia domenica. Indossavo un completo color vinaccia, con gonna "longuette" così allora definita, ovvero sotto il ginocchio, camicetta bianca e un gilet in pendant con la gonna, scarpe col tacco. La mia prima volta con Carlo.

Nel 1981 conoscevamo già Carlo Verdone, ormai da alcuni anni. Si era esibito in siparietti comici, nei programmi televisivi dedicati al lancio di nuovi artisti. E se non aveva ancora convinto me, bendisposta verso la buffoneria romanesca, figuriamoci il povero Claudio, genovese doc, che al massimo era rimasto ad Alberto Sordi, ma tradiva insofferenza, quando la parlata romana pervadeva troppo la recitazione. Una diffidenza che probabilmente non ha toccato i cittadini di La Spezia, dove Carlo si è sempre recato volentieri.

Perché non mi aveva dunque particolarmente impressionato Carlo, in televisione? Per una ragione che oggi più che mai rende la mia posizione impopolare, ovvero per quelle che io definisco "prove tecniche".

Oggi i vari talent e qualche reality ci mostrano gente in progress, che vuole una carriera e si prepara a scalarla mettendosi alla prova in questo genere di programmi, "reali", con qualche tocco, nei talent in particolare, della Corrida di Corrado: presentando cioè anche soggetti negati completamente per quella che sostengono essere la loro specialità, lanciati sul palco a fare i pagliacci, per poi mostrare le espressioni degli illustri giudici e far sghignazzare il pubblico.

Io voglio il prodotto finito. Non fatemi vedere le vostre "performance" in costruzione, ma andate in onda quando siete pronti per essere giudicati, come artisti veri e patentati.

Ecco perché Carlo non mi sfagiolava, in quei secondi lunghissimi con gli occhi rovesciati, negli sketch con la battuta ripetuta all'infinito, i tic reiterati per sondarne il gradimento, i tre personaggi iconici del suo registro, riproposti sotto varie spoglie. Pensavo: stai preparando le fondamenta dei tuoi film, bene: esci allo scoperto con quelli, ma fai le prove a casa o nei teatri o al cabaret ( leggendario il "Derby " di Milano che lanciò, un nome per tutti, Renato Pozzetto). Capivo solo che era bravo e teneva in serbo il meglio, e si sapeva che anche il vissuto familiare lo aveva introdotto ottimamente nell'ambiente dello spettacolo.

Continua...