Gaza: è nei numeri la verità
Dopo tre mesi di notizie controverse, vale la pena di dare la parola ai numeri. Infatti, le vittime assommano a quasi il 4% dei residenti nella Striscia di Gaza.
Da quando è iniziato l'attacco di Israele al 31 dicembre almeno 21.822 persone sono state uccise ed almeno 56.451 sono rimaste ferite su 2,048 milioni di persone censite nel 2020.
Una sproporzione eclatante, visto che l'attacco del 7 ottobre da parte di Hamas e di altri movimenti della resistenza palestinesi (di cui almeno 5 identificati) aveva causato oltre 2.806 feriti, 1.139 vittime di cui circa 400 appartenenti alle forze di difesa israeliane. Dei circa 700 civili, alcuni sono stati uccisi da fuoco amico.
UNA BATTAGLIA SENZA QUARTIERE
Infatti, la reazione di Israele ha finora causato circa il 2.000% di perdite rispetto a quanto provocato da Hamas, mentre almeno il 42% (164.756) di tutte le unità abitative a Gaza è stato distrutto o danneggiato dall'inizio delle ostilità (dati più aggiornati riferiscono una percentuale del 70%, ndr).
Sono state colpite 305 scuole, 1.541 strutture industriali e 135 sanitarie, tra cui 23 ospedali, 56 cliniche, 55 ambulanze, 183 moschee e 3 chiese, oltre a 165 uffici stampa e 126 uffici governativi.
La terza chiesa più antica del mondo - la Chiesa Ortodossa Romana di San Porfirio a Gaza City - è stata bombardata, la chiesa cattolica della Sacra Famiglia è stata attaccata dai cecchini dell'IdF. Tra i cristiani di Gaza si sono registrate una quindicina di vittime.
I SERVIZI ESSENZIALI
Il sistema sanitario di Gaza è stato paralizzato e sono pochissime, tra cliniche e ambulatori, le strutture in grado di fornire assistenza, per lo più di base. I posti letto sono meno di 1.500 e ne sarebbero necessari oltre 5.000.
Secondo fonti palestinesi, sono oltre 350.000 i residenti di Gaza colpiti da malattie contagiose.
Sono bloccati i rifornimenti di acqua, cibo, elettricità e carburante.
Almeno il 40% della popolazione della Striscia è a rischio di carestia.
Di questa almeno il 25% sta morendo di fame perché sono troppo pochi i camion che portano cibo, medicine, carburante e altri rifornimenti, a volte meno di cento al giorno, secondo i rapporti giornalieri delle Nazioni Unite.
Nella Striscia di Gaza, il 90-95 percento delle acque provenienti dall’unica fonte disponibile, la falda costiera, è contaminato e inutilizzabile per il consumo.
2 milioni di palestinesi stanno vivendo con meno di 3 litri di acqua a testa al giorno.
I DIRITTI ESSENZIALI
Circa 1,8 milioni di gazawi si sono rifugiati nel sud di Gaza dopo l’ordine delle forze di difesa israeliane (Idf) di lasciare il nord della Striscia a metà ottobre.
Solo a Rafah si sono rifugiate circa 850mila persone, più del triplo della popolazione normale.
Almeno due campi per rifugiati nel centro di Gaza sono stati colpiti dagli aerei da guerra israeliani. L'esercito israeliano ha confermato l'estensione dei combattimenti e dei bombardamneti vicino ai campi profughi di al-Maghazi, al-Bureij e al-Nuseirat.
Il 96% della popolazione gazawa è ormai diventata “multidimensionalmente povera”, in base all'indice nazionale di povertà multidimensionale (Mpi) riconosciuto a livello internazionale.
Secondo le Nazioni Unite, “Gaza tornerà indietro di 11 o 16 anni a causa della diminuzione del livello di istruzione, dell'aspettativa di vita più bassa, della denutrizione e del crollo del reddito pro capite”.
Un processo irreversibile, che tra l'altro investirà anche i territori occupati in Cisgiordania.
I TERRITORI OCCUPATI
In Cisgiordania la popolazione palestinese ha accesso a meno del 20 per cento dell’acqua proveniente dslla fonte del Mountain Aquifer, l'unica fonte d'acqua della zona.
I 450.000 coloni israeliani consumano la stessa quantità di acqua, se non di più, utilizzata dalla popolazione palestinese composta di circa 2,3 milioni di persone.
Nella Cisgiordania occupata sono stati finora 313 i morti tra cui 79 bambini e più di tremila i feriti palestinesi a causa delle violenze delle milizie dei coloni israeliani.
In molti sono stati sottoposti a “percosse, isolamento dal mondo esterno e negazione di cure mediche”. Secondo il rapporto OHCHR di fine anno circa 4.785 palestinesi sono stati detenuti in Cisgiordania dal 7 ottobre e che sei palestinesi sono deceduti durante la detenzione.
Alcuni di loro “sono stati denudati, bendati e legati per lunghe ore con le manette e con le gambe legate, mentre i soldati israeliani hanno calpestato loro la testa e la schiena, sono stati sputati, sbattuti contro i muri, minacciati, insultati, umiliati e in alcuni casi sottoposti ad abusi sessuali e violenza di genere”.
IL RUOLO DELLA CASA BIANCA
All'inizio dell'attacco israeliano a Gaza, gli USA hanno consegnato ad Israele circa mille tonnellate di materiale, tra forniture militari, attrezzature mediche, ambulanze militari, trasferiti d'urgenza con ben 45 arei cargo.
La Camera dei Rappresentanti, a maggioranza Repubblicana, ad inizio novembre, ha approvato un pacchetto di aiuti per Israele del valore di 14 miliardi di dollari (non ancora approvatodal Senato).
Però, il Presidente Biden, senza passare per il Congresso, ha autorizzato due trasferimenti di armi ad Israele (nello specifico munizioni d’artiglieria da 155mm e munizioni per carri armati).
L'amministrazione Biden ha confermato indirettamente gli attacchi dei coloni contro i civili palestinesi in Cisgiordania, riferendosi alla fornitura di armi leggere prodotte negli Stati Uniti e destinate alla libera vendita ai civili.
Nonostante il presidente Biden abbia dichiarato di aver espresso chiaramente al primo ministro israeliano Bibi Netanyahu le sue preoccupazioni riguardo alla sicurezza dei palestinesi innocenti, gli Stati Uniti hanno posto il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU che chiedeva una tregua nei combattimenti a Gaza.
Dopo settimane e mesi di trattative e rinvii l'ONU ha potuto approvare solo una risoluzione che chiede "semplicemente" di favorire l'assistenza umanitaria a beneficio della popolazione civile, ma non un cessate il fuoco immediato.
LA GUERRA SI ESTENDE
La guerra inizia ad estendersi anche ai territori confinanti.
Attacchi aerei israeliani hanno colpito più volte della Siria e del Libano.
In particolare è stata colpita la zona dell'aeroporto di Damasco che a novembre e dicembre ha subito diversi raid che ne hanno causato lo stop dei voli.
A seguito di un attacco israeliano in Siria. nel quartiere di Sayyida Zeinab, a sud di Damasco, è stato ucciso il generale Sayyed Razi Mousavi dell'esercito iraniano anche se l'Iran a tutt'oggi è formalmente una nazione neutrale.
Il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, ha annunciato che il leader del gruppo libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, sarà il prossimo obiettivo.
Intanto, il premier Benjamin Netanyahu ha ribadito di voler "agire contro" Teheran "ovunque e in ogni modo", annunciando che la campagna durerà molti mesi ancora.
"Stiamo infliggendo duri colpi a Hezbollah. ... Abbiamo approvato piani operativi per la continuazione della guerra e se Hezbollah intensifichera' gli attacchi, dovra' affrontare conseguenze senza precedenti, così come l'Iran". ... Il Philadelphi Corridor, che corre per 14 chilometri lungo il confine tra Gaza e l'Egitto, deve essere nelle nostre mani" .
Dopo gli attacchi degli Houti nel Mar Rosso, attraverso il quale passa il 12% del commercio marittimo internazionale, il 18 dicembre gli Stati Uniti hanno reso operativa la Combined Task Force 153 e lanciato l’operazione Prosperity Guardian.
Gli elicotteri della USS Eisenhower e della USS Gravely hanno già colpito diverse imbarcazioni Houthi e ne hanno affondate tre senza lasciare superstiti.
GLI ALLEATI
All'operazione Prosperity Guardian non partecipa il principale alleato degli USA nella zona, l'Arabia saudita che punta all’intesa con i ribelli Houti. Tra i Paesi arabi solo il Bahrain ha aderito.
Inoltre, la fregata missilistica italiana Virginio Fasan è operativa nel Mar Rosso per supportare le richieste degli armatori italiani e non è parte dell’operazione statunitense.
Lo stesso vale per la fregata multi missione francese Languedoc che resta sotto il solo comando francese.
La Spagna non ha aderito precisando che aderirà solo a missioni guidate dalla NATO o a operazioni coordinate dall’UE.
Infatti, l'Europa prosegue autonomamente la missione Atalanta, che opera al largo della Somalia e nell’Oceano Indiano occidentale contro la pirateria, e l’operazione Agenor che protegge lo Stretto di Hormuz e le esportazioni di petrolio dagli Stati del Golfo.
Il Sudafrica ha presentato alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia la richiesta formale di messa in stato di accusa, perché "Israele ha partecipato, sta partecipando e corre il rischio di continuare a commettere atti di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza ... con l'intenzione specifica di distruggere i palestinesi come gruppo nazionale, razziale ed etnico".
LA SITUAZIONE POLITICA IN ISRAELE
Netanyahu dal 2019 è accusato di frode, abuso di fiducia e accettazione di tangenti in tre distinti scandali che coinvolgono potenti magnati dei media e ricchi soci.
Da allora sono state cinque le elezioni politiche (in poco più di tre anni e mezzo), con Netanyahu che è rimasto al potere solo grazie ai voti degli ultranazionalisti.
Intanto, per indicazione della Corte, Netanyahu da quasi 4 anni è legalmente obbligato a rinunciare ai suoi portafogli ministeriali diversi da quello di Primo Ministro.
La reazione di Benjamin Netanyahu - appena rieletto mesi fa - è stata eclatante: ha tolto alla Corte Suprema la facoltà di bloccare le decisioni dell'esecutivo giudicate “irragionevoli” ed ha avviato un piano per riformare il sistema giudiziario del paese.
Eppure, persino il consigliere legale di Netanyahu ha recentemente confermato che il premier israeliano non dovrebbe intervenire nella nomina o nella selezione di alti funzionari negli organi statali che sono "coinvolti nei procedimenti penali contro il primo ministro".
E la guerra ha messo in second'ordine i processi per corruzione di Netanyahu, che ormai durano da oltre 4 anni.
Secondo un sondaggio di Channel 13 riportato da AGI - Agenzia Italia, il 70% degli israeliani ritiene che Netanyahu dovrebbe dimettersi da primo ministro.
Tra questi, il 41% ritiene che dovrebbe dimettersi alla fine della guerra, mentre il 31% ritiene che dovrebbe farlo immediatamente.
Solo il 19% degli intervistati ha affermato che Netanyahu è idoneo a continuare guidare l'esecutivo.
Praticamente poco più degli elettori dei tre partiti ultranazionalisti - Sha, Israel Beitenu e HaBayit HaYehudi - che alle ultime elezioni hanno raccolto circa il 13% dei consensi.