Sopoćko, continuando l’analisi delle forme espressive della Sacra Scrittura, è riuscito a dimostrare che l’uso neotestamentario greco di έλεος è più ampio di quanto suggerisca il termine “misericordia”. Precisamente, έλεος appare molte volte in contesti nei quali significa hesed è usato in un modo che ricorda lo hesed. Secondo la teologia del Nostro, Gesù fa del suo comportamento verso i peccatori il modello e l’insegnamento di έλεος; il suo è un atteggiamento di disponibilità a unirsi con loro, diversamente dall’esclusivismo degli scribi, anzi Egli li invita a entrare nel Regno di Dio (cf. Mt 9, 13). Con rettitudine e fedeltà, έλεος è uno dei caratteri più importanti della legge (cf. Mt 23,23), ma ancora una volta è contro la rigida interpretazione della legge. Nei passi in esame, έλεος significa libertà e tolleranza. Gesù, addirittura, fa dell’έλεος che si dimostra verso il prossimo, la condizione dell’έλεος che si può attendere da Dio (cf. Mt 5,7; 18,33). La profondità dell’amore per il prossimo è la dimostrazione dell’έλεος (cf. Lc 10, 37) e nella parabola del buon samaritano έλεος significa offerta, assistenza a chi ne ha bisogno. In Mt 18,33 έλεος è la prontezza nel perdonare e in Mt 5,7 è, molto probabilmente, da intendere nello stesso senso. Giudizio senza έλεος si può facilmente rendere con giudizio senza misericordia. Èλεος invece, è una componente della sapienza celeste; in contrasto con la sapienza terrena, essa consiste nell’atto di fare buone azioni (cf. Gc 3,17)[1]. 

Il Nostro spesso ripeteva che per la mentalità odierna, la misericordia, potrebbe diventare un vero scandalo. Nella predicazione di Gesù, invece, non lo è. L’insegnamento della misericordia è “il cuore delle parabole di Gesù”. La misericordia di Dio diventa un messaggio fondamentale per la vicinanza concreta ai peccatori, ai poveri e agli afflitti[2]. Tanto il volto di Dio è rivoluzionato, che si mostra “solo misericordia”. Appunto, l’insegnamento di Gesù Cristo nel Vangelo è sempre un evento che educa alla nuova riscoperta del volto di Dio, legato alla manifestazione della misericordia del Padre. Gesù educa a credere e ad aver fiducia nel Padre misericordioso. Se, invece, è vero che la misericordia può essere solo di Dio, essa diventa anche di Gesù. 

Notiamo che per Sopoćko, Dio “diventa visibile” con il “volto misericordioso” solo     in Gesù Cristo e mediante Lui. In questo “volto visibile”, Gesù particolarmente mette in risalto l’attributo più grande di Dio, cioè la misericordia. Gesù ha conferito a tutta la misericordia della tradizione dell’Antico Testamento un significato definitivo. Egli ha parlato di essa e l’ha spiegata con le parabole e le similitudini. Potremo dire che, in un certo senso, Gesù stesso è la “misericordia personificata”. Esattamente, per chi vede  e trova la misericordia nella persona di Gesù, «Dio diventa veramente visibile»[3].

Gesù, nel rivelare il volto misericordioso di Dio, «esigeva dagli al tempo stesso uomini che si facessero guidare nella loro vita dall’amore e dalla misericordioso» (DM 3)[4]. Costatiamo che «questa esigenza fa parte dell’essenza stessa del messaggio messianico e costituisce il midollo dell’ethos evangelico. Il Maestro lo esprime sia per mezzo del comandamento, da lui definito come “il più grande”, sia in forma di benedizione, quando nel discorso della montagna proclama» (DM 3):    «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). 

Perciò il misericordioso fa il bene spinto solo dalla carità, senza distinguere fra amici  e nemici, senza cercare la propria soddisfazione o il proprio interesse. Per essere vero figlio dell’Altissimo si sforza di ricopiare la sua eterna misericordia. Dunque non ama solo ciò che è amabile, la sua misericordia non è motivata da ciò che riceve in cambio. Non ci possono essere motivi “esterni” per la misericordia, come non ce ne sono per l’amore. Per viverla, bisognerebbe fare il salto di qualità del perdono cristiano. Infatti veramente misericordioso è colui che coltiva sentimenti di pietà nei confronti di chi ha peccato, e gli concede generosamente il perdono[5]. «Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt 18,33), chiede il padrone al servo spietato, nella parabola evangelica. Tanto che la durezza, di cui il servo dà prova nei confronti del suo collega, fa sì che la compassione e la misericordia del re si cambino in collera e in punizione rigorosa.

Don Gregorio - prof. sac. Grzegorz Stanislaw Lydek

  
[1] Cf. M. Sopoćko, Poznajmy Boga w Jego Miłosierdziu, pp. 45-55: Miłosierdzie Boga w dziełach Jego, vol. I, pp. 147-151.
[2] Cf. M. Sopoćko, The Mercy of God in his Works, pp. 30-35.
[3] M. Sopoćko, Miłosierdzie Boga w dziełach Jego, vol. I, pp. 165-169.
[4] Consideriamo che anche E. JONE nel Compendio di teologia morale ha sviluppato il discorso dell’amore di Dio, dimostrando l’obbligo ragionevole di operare la carità, come un comando necessario per un comportamento cristiano. «L’obbligo di fare atti di amor di Dio esiste, alcune volte, come comandato per necessità di mezzo; più frequentemente è comandato per necessità di precetto. 1 Per necessità di precetto, tutti gli adulti sono obbligati a fare un atto di carità o di amor di Dio, quando non hanno nessun altro mezzo per procurarsi lo stato di grazia. Altri mezzi sono il martirio, il battesimo, il sacramento della penitenza, nei quali basta il dolore soprannaturale di contrizione per conseguire la giustificazione. 2 Per necessità di precetto, si è tenuti a fare un atto di amor di Dio appena si è raggiunto l’uso di ragione; inoltre quando si ha bisogno dello stato di grazia e non lo si può conseguire mediante un sacramento; similmente, quando non si riesce a superare una tentazione in altro modo. Finalmente, si deve esprimerlo frequentemente durante la vita»: E. JONE, Compendio di teologia morale, Marietti, Roma 1951, p. 135. La concentrazione del discorso, però, si sposta sulla dimostrazione come bisogna evitare il peccato per non offendere l’amore di Dio, infatti: «Peccati diretti contro l’amor di Dio: si possono commettere con l’omissione dell’atto di carità prescritto e con l’odio contro Dio. Si pecca di odio contro Dio quando si ha avversione a Dio perché Egli avversa il peccato e lo punisce, oppure perché permette sofferenze; inoltre quando si è dominati da inimicizia contro Dio. Gli si augura del male, si desidera che non esista, che non sia onnisciente, e giusto, quando per avversione a Dio si lavora a distruggere ciò che gli procura onore, ad esempio perseguitando e opprimendo la Chiesa»: ibidem, p. 137. Dal testo appena citato, emerge la preoccupazione per l’omissione dell’atto di carità già ben inserito nella legge divina e per l’odio in contrasto con l’amore, che è Dio stesso. Lo specifico del discorso morale sta nell’evidenziare la differenza abissale tra il peccato (l’avversario) e Dio (l’onnisciente e il giusto). L’accento non si sposta nel presentare ad esempio la bontà, la misericordia di Dio nei confronti dei peccatori. 
[5] Cf. J. Ratzinger - Benedetto xvi, Gesù di Nazaret, LEV, Città del Vaticano 2007, pp. 231-237.