Un giudice federale statunitense ha fissato per il 2 maggio un'udienza cruciale per valutare le misure correttive che il Dipartimento di Giustizia (Department of Justice, DOJ) e un gruppo di Stati chiederanno a Google, dopo che la società è stata ritenuta responsabile di aver mantenuto illegalmente un monopolio in due segmenti chiave della tecnologia pubblicitaria online.

La decisione arriva a seguito di una sentenza emessa lo scorso 17 aprile dalla giudice distrettuale Leonie Brinkema, che ha ritenuto l'azienda controllata da Alphabet di aver «volontariamente acquisito e conservato un potere monopolistico» nei mercati dei server pubblicitari per editori e degli scambi pubblicitari digitali.  

La giudice Brinkema, del tribunale federale di Alexandria, in Virginia, ha spiegato che l'udienza di maggio avrà l'obiettivo di esplorare in modo tempestivo e generale i possibili rimedi per consentire la corretta offerta dei servizi proposti da Google, prima di approfondire soluzioni ad hoc. La sentenza di aprile conferma le accuse mosse dal Dipartimento di Giustizia e da 11 Stati in una causa del 2023, che denunciava il controllo dominante di Google su strumenti pubblicitari essenziali, utilizzati sia dagli editori per vendere spazi pubblicitari sia dagli inserzionisti per acquistarli.  

Brinkema, dopo aver presieduto un processo senza giuria nel 2023, dovrà ora decidere come obbligare Google a correggere le distorsioni di mercato. Tra le opzioni sul tavolo vi è la cessione di parti del suo business pubblicitario, una mossa radicale che potrebbe ridisegnare l'ecosistema della pubblicità digitale.  

Quella di Brinkema non è la prima sentenza a colpire Google. Nell'agosto 2024, il giudice distrettuale Amit Mehta, a Washington, aveva già stabilito che la società aveva consolidato il proprio monopolio nei motori di ricerca attraverso accordi esclusivi con partner come Samsung Electronics e Apple. In quel caso, il DOJ ha proposto come rimedio la vendita obbligatoria del browser Chrome, strumento accusato di favorire l'egemonia di Google Search.  

Google ha respinto ogni accusa, definendo le conclusioni dei giudici «errate» e annunciando ricorso in entrambi i casi. L'azienda ha ribadito che Chrome e i suoi servizi pubblicitari «migliorano la concorrenza e l'innovazione», negando qualsiasi pratica anticompetitiva.  

Le due sentenze rappresentano un punto di svolta nella battaglia antitrust contro i giganti tecnologici negli Stati Uniti. Se confermate, le misure correttive potrebbero costringere Google a frazionare parti del suo impero, con ripercussioni senza precedenti sul settore. L'udienza del 2 maggio sarà quindi un banco di prova non solo per Google, ma anche per le autorità regolatorie, chiamate a bilanciare il potere delle Big Tech senza soffocare l'innovazione.