L’era digitale ha trasformato radicalmente l’infanzia e l’adolescenza, ma non senza conseguenze. Secondo il recente rapporto OCSE “Come va la vita ai bambini nell’era digitale?”, circa il 17% degli adolescenti quindicenni ammette di sentirsi ansioso o nervoso per buona parte del tempo in cui è lontano dal proprio cellulare o da altri dispositivi digitali. Il dato, già allarmante di per sé, si fa ancora più marcato quando si guarda alla differenza di genere: il 22% delle ragazze riferisce questa ansia da disconnessione contro il 13% dei ragazzi.
Non si tratta di un disagio passeggero o marginale. I numeri indicano un rapporto disturbato, in certi casi compulsivo, con la tecnologia. La diffusione capillare dei dispositivi digitali ha iniziato precocemente: nel 2021, il 93% dei bambini di 10 anni aveva accesso a Internet e circa il 70% possedeva già uno smartphone. A 15 anni, oltre la metà trascorre almeno 30 ore a settimana online. In alcuni Paesi, come la Lettonia, quasi un ragazzo su due dichiara di passare più di 60 ore settimanali davanti a uno schermo.
Questi numeri non parlano solo di abitudini digitali. Parlano di dipendenza o, quantomeno, di uso problematico. Il 10% degli adolescenti OCSE (età 11-15) ha sviluppato un rapporto disfunzionale con i social media, in aumento rispetto al 7% di pochi anni prima. Le ragazze (12%), i ragazzi con background migratorio (14%) e quelli che vivono in famiglie monogenitoriali (12%) sono le categorie più esposte.
Anche l’impatto sulla vita quotidiana è evidente: un adolescente su cinque a 15 anni ammette di trascurare attività importanti come sport o hobby per stare sui social. Il rischio? Isolamento, disturbi del sonno, problemi d’autostima, ansia, depressione. E in una dinamica già delicata come quella dell’adolescenza, è facile che lo schermo diventi non solo uno strumento di comunicazione, ma anche una trappola psicologica.
Ciò che inquieta è che i dispositivi digitali non riempiono un vuoto, ma spesso lo amplificano. I dati mostrano che l’uso eccessivo è correlato a scarse relazioni sociali, conflitti familiari, basso benessere emotivo e problemi comportamentali. In altre parole: più fragile è la realtà offline, più invasivo diventa il digitale.
L’ambiente digitale, poi, ha le sue tossicità. Cyberbullismo, confronto sociale, idealizzazione dell’immagine sono pane quotidiano, specie per le ragazze, più soggette all’ansia da prestazione e all’autocritica. Il tempo passato online non è solo tanto: è spesso qualitativamente dannoso.
L’OCSE non si limita alla diagnosi. Lancia un appello chiaro e urgente per un intervento multisettoriale che coinvolga scuole, famiglie, operatori sanitari, governi e aziende digitali. Non basta più dire “staccati dal telefono”: bisogna capire cosa c’è dietro quel bisogno di connessione costante e offrire alternative valide, sane e accessibili.
Ecco le linee d’azione proposte:
- Regolamentare efficacemente l’ambiente digitale, imponendo ai fornitori la priorità alla sicurezza dei minori;
- Educare i ragazzi alla cittadinanza digitale, rendendoli consapevoli dei rischi e delle opportunità;
- Sostenere i genitori, fornendo loro strumenti per comprendere e gestire il rapporto dei figli con la tecnologia;
- Ascoltare i giovani, includendoli nella progettazione delle politiche digitali. Solo così si possono formulare risposte concrete e aderenti alla realtà.
I dati OCSE ci mettono davanti a una verità scomoda: i dispositivi digitali sono parte integrante della crescita dei giovani, ma senza guida e consapevolezza, rischiano di diventare un problema, non una risorsa. Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di costruire intorno a essa un ecosistema sicuro e sano, dove i ragazzi possano crescere, esplorare e sbagliare senza pagarne il prezzo con la salute mentale.
Serve un gioco di squadra, e serve ora. Altrimenti, continueremo a guardare passivamente una generazione crescere connessa ma sola, digitale ma vulnerabile.