Il 29 settembre scorso, il presidente di Confindustria Bonomi ha debuttato ufficialmente nel suo primo congresso tenutosi nell’Auditorium Parco della Musica di Roma: mai posto più appropriato per far risuonare limpidamente la voce del padrone.
Occorre fare una premessa: circa due mesi prima aveva lanciato degli avvertimenti al governo in carica: “Il compito che vi spetta è immane, nessuno può e deve sottovalutare le difficoltà” continuava lamentando che negli ultimi 25 anni vi era stato un ristagno economico e una bassissima produttività. Come mai?
Pur concordando con quanto sopra espresso, la situazione lamentata ha colpito l’economia a conduzione familiare: commercianti, artigiani e le piccole e medie imprese indipendenti che rappresentano la reale struttura portante dell’economia italiana non certo la grande impresa di cui lui è espressione infatti quest’ultima non ha patito perdite o crisi produttive perché una parte, raggiunto il top, ha venduto i marchi più prestigiosi a gruppi stranieri. Nel contempo una parte della restante imprenditoria chiudeva gli impianti senza preavviso lasciando moltissime famiglie in mezzo alla strada e utilizzando i soldi pubblici, trasferivano la produzione nei paesi emergenti dove, sfruttando senza scrupoli la miseria, l’ignoranza e governi corrotti hanno potuto accumulare profitti stratosferici a costi irrisori trasferendoli nei paradisi fiscali. Come contropartita i cittadini italiani hanno avuto un incontrollato aumento del debito pubblico, lo strangolamento del tessuto produttivo minore soprattutto nel centro sud che ne ha determinato un ulteriore impoverimento e ha accentuato un clima di insicurezza, tutto questo coadiuvato dall’indisturbato riciclo di denaro sporco favorito dalla più preoccupante e pericolosa criminalità istituzionale che si annida nelle amministrazioni pubbliche: questo è stato l’amaro prezzo che la collettività sta pagando a causa di un elettorato compiacente che per anni ha affidato incautamente il paese ai vari “unti del signore” di turno proposti dalla partitocrazia in cambio di favori di vario genere. Questo accade quando la democrazia e la Costituzione sono di fatto solo aridi concetti utili solo per la retorica.
Al suo primo congresso il presidente dell’imprenditoria italiana ha tenuto una lezione di “buon governo” al nostro premier che era doverosamente intervenuto, è interessante il contenuto del suo primo discorso ufficiale, non è necessario interpretarlo perché è di una eccezionale chiarezza, soprattutto d’intenti.
Il sig. Bonomi rivolgendosi al Premier Conte ribadisce la necessità di concludere “(…) un nuovo patto tra le parti sociali che abbia una visione alta e lungimirante” e continua: “Servono scelte per l’Italia del futuro. Scelte controvento. Serve il coraggio del futuro”. Visto che parla di futuro, di scelte controvento e di coraggio, dovrebbe convincere i suoi colleghi imprenditori a pagare di tasca loro la bonifica dei territori del centro sud dove hanno scaricato i loro rifiuti tossici e contaminanti che stanno decimando la popolazione di due terzi del paese. L’unico futuro che finora hanno garantito a molti di noi è la permanenza, più o meno lunga, nei reparti di oncologia prima di finire al cimitero.
Il “bonus pater familias” ribadisce il sacro principio della Confindustria: “(..) vi è la necessità di una nuova produttività. È su questo concetto ampio di produttività che si devono concentrare le azioni e le politiche dei prossimi anni, con l’obiettivo di massimizzare il ruolo di motore dello sviluppo del sistema delle imprese e del lavoro e dare nuova centralità alla manifattura”. Continua: “Presidente, lei ha detto – Se mi sbaglio sull’utilizzo del Recovery Fund, mandatemi a casa - no, se fallisce, nei pochi mesi che ci separano dalla definizione delle misure da presentare all’Europa, non va a casa solo lei, andiamo a casa tutti. Il danno per il paese è immenso”. Avverte: “Non ce lo possiamo permettere. È tempo di un’azione comune, oppure non sarà un’azione efficace”. La lezione continua: “Serve un quadro netto, di poche decisive priorità”. “(….) strumenti e fine per indirizzare la politica economica e industriale dell’Italia”. Per realizzare quanto va dichiarando il suo presidente, la Confindustria dovrebbe adottare il codice etico, la creatività di Adriano Olivetti e il coraggio di difendere la dignità del proprio paese come ha fatto Enrico Mattei, anche se entrambi hanno fatto una brutta fine! Se è reato pretendere un tasso d’interessi superiore al 10% sui prestiti dovrebbe essere imposto un limite anche al profitto e l’eccedenza dovrebbe essere investita a favore della collettività perché il dovere di un imprenditore non si esaurisce pagando un salario ai propri dipendenti che talvolta se lo devono guadagnare sacrificando la loro salute e anche la loro vita e a tal gravissimo danno si aggiunge anche la beffa della sistematica e devastante evasione fiscale che sottrae ulteriori colossali risorse alla comunità di un intero paese. Ciò che affermo non è “comunismo” ma “democrazia” che prevede un’equa redistribuzione delle ricchezze prodotte nel paese. È necessario lasciare perdere le ideologie e gli scontri che ne conseguono, la società italiana ha bisogno di un profondo rinnovamento, solo con un cambio radicale di mentalità possiamo sopravvivere: questo è il miracolo che siamo chiamati a compiere. Gli esempi dati da Adriano Olivetti e da Enrico Mattei devono guidare questo rinnovamento personale e collettivo, questa è l’ultima occasione che abbiamo e, paradossalmente, ci viene offerta da un virus.
Il dirigente continua imperterrito: “Abbiamo inviato a luglio al governo e sindacati una proposta dettagliata, cui finora non abbiamo visto seguito. Essa si ispira la varo di vere politiche attive del lavoro, smontando la parte di reddito di cittadinanza non destinato al contrasto alla povertà ma destinato in teoria alle politiche del lavoro che però, di fatto, per constatazione ormai unanime non funziona”.
Con una pandemia in corso non si può valutare l’efficacia di un provvedimento che ha bisogno di tempo per produrre effetti, questa è una critica puramente strumentale invece ricordo bene cosa disse un responsabile della Confindustria intervistato riguardo al reddito di cittadinanza ancor prima che fosse percepito dai cittadini che ne avevano fatto richiesta: “Perché sprecare tanto denaro, datecelo a noi che lo facciamo fruttare” dimostrando per l’ennesima volta la visione miope ed egoista che ha l’imprenditoria che conta. Il reddito di cittadinanza ha la finalità di sostenere coloro che per una serie di ragioni hanno difficoltà a trovare un lavoro il più possibile dignitoso, non è mai stata una regalia. Bisogna vedere come sono stati selezionati, addestrati e hanno operato i tutors! Se il criterio utilizzato è stato quello clientelare il fallimento è assicurato, il sistema economico gestito dalla Confindustria non ha nessun interesse alla piena occupazione nel centro sud del paese e soprattutto che si sviluppi una economia autonoma sulla quale non potere porre condizioni.
La Confindustria ha recitato il “de profundis” al reddito di cittadinanza anche per screditare ogni intervento a favore delle classi deboli: cosa disse vent’anni fa Berlusconi agli italiani? “Se non avete abbastanza soldi per mangiare fate spesa nei discount” e contemporaneamente piazzò al Parlamento e in varie amministrazioni comunali e regionali le sue “escort” (oggi si chiamano così) che sono state pagate profumatamente con il denaro pubblico e che, ancor peggio, hanno rappresentato la “volontà” degli elettori. Nel caso specifico Berlusconi è stato un “buon profeta in patria.
Cosa disse un altro rappresentate della Confindustria in merito all’ex ILVA? “Se il settore è in crisi, si licenzia!” si parlava di migliaia di famiglie sul lastrico. Come mai gli impianti sono arrivati in uno stato di degrado tale da costituire un rischio per la salute sia dei lavoratori che degli abitanti della zona (che, come da insane abitudini ormai consolidate, hanno costruito abusivamente nella zona interdetta, limitrofa l’impianto siderurgico, con il placet delle amministrazioni comunali compiacenti che hanno preso voti)? Chi ha gestito l’ILVA ha solo pensato a ricavarci il massimo profitto accumulando per giunta un grande debito che si è ben guardato da appianare e, soprattutto, senza avere cura di effettuare alcun investimento per modernizzare gli impianti. Chi ha trattato la vendita dell’ILVA ha favorito la cordata franco-indiana che mirava ad acquisire l’acciaieria per chiudere gli impianti ed assorbire il mercato nazionale ed europeo servito dalla società a discapito del gruppo concorrente che forse avrebbe adottato una politica diversa.
Per la stessa ragione Atlantia ha preteso ed ottenuto di immettere condizioni a proprio esclusivo vantaggio nel contratto di concessione che gli ha permesso di sfruttare la rete autostradale per vent’anni senza effettuare un’adeguata manutenzione delle infrastrutture e accumulare un profitto vergognoso che è stato investito all’estero (uno dei tanti un latifondo in Argentina). C’è voluto il crollo del ponte Morandi perché la faccenda venisse drammaticamente alla luce, se vogliamo porre fine a tale scempio noi cittadini siamo obbligati a pagare una penale miliardaria ai Benetton per rescindere il contratto di concessione perché coloro che dovevano tutelare i nostri interessi hanno svenduto l’uso di un pezzo di stato che era costato fatica e denaro pubblico con la conseguenza di dover pagare i danni per il lucro cessante, riprenderci i cocci e seppellire i morti. Con questa logica non si va da nessuna parte.
Qual è il reale criterio che la grande imprenditoria applica nel gestire le risorse del paese tramite i suoi “ufficiosi” rappresentati politici disseminati tra parlamento, governo e amministrazioni regionali e comunali? Ricavare il massimo profitto raggirando sistematicamente le condizioni inserite nei contratti d’appalto di opere pubbliche che costituiscono la “madre di tutte le tangenti”. Questo meccanismo funziona perché, con la scusa di un non meglio definito principio di “liberismo economico”, è stato disattivato di fatto il controllo dello stato sugli investimenti pubblici. E’ ben noto come questo club esclusivo ottiene profitti stratosferici nell’ambito delle opere pubbliche: dopo aver vinto una gara di appalto di una grande opera affidano la realizzazione materiale dei progetti a subappaltatori che, risparmiando sui costi (materiali, omissione delle norme di sicurezza e utilizzando in buona parte il lavoro al nero) e superando i controlli di qualità sullo stato di avanzamento e il collaudo con la compiacente miopia del tecnico pubblico preposto consegnano opere mediocri e strutturalmente difettose destinate alla rovina in pochi anni.
Tale consolidato meccanismo riesce a pilotare anche le scelte politico/economiche generali del paese in modo da dirigere e gestire a loro comodo gli stanziamenti delle restanti risorse.
È incontrovertibile che maggior parte delle risorse statali sono assorbite dal settentrione, solo una percentuale ridotta viene inviata al centro sud e ho potuto notare che queste servono ad alimentare un indotto dipendente dalle imprese settentrionali, in questo modo il denaro impiegato rientra al nord attraverso numerosi rivoli: il centro sud è il suo primo cliente; la parte residua va alla criminalità organizzata. Questa situazione offre enormi vantaggi al settentrione quindi nessuno pensa a cambiarla. Il dovuto controllo pubblico su tale meccanismo è affidato ad un parlamento costituito ad hoc che, specchio di una falsa democrazia, produce leggi che tutelano interessi particolari, di rimando, non vengono effettuati investimenti utili per un concreto, sano ed indipendente sviluppo economico del centro sud dove invece la Confindustria sta imponendo di fatto una “economia di servizi” che rappresenta un autentico suicidio economico per i due terzi del paese: call center; ricerca di mercato; sanità privata, case di cura per anziani, ecc.. Un po' di esempi di indotto a danno del sud: l’alta moda ha sempre utilizzato i laboratori al nero che confezionavano capi di alto livello a due soldi, oggi preferisce servirsi degli albanesi, cinesi, tailandesi. Vietnamiti, ecc. perché li pagano meno, non versano contributi e non pagano imposte; le compagnie telefoniche di comune accordo emettevano la tredicesima fattura per pagare gli operatori rumeni impiegati nei loro call center; le infrastrutture nel sud sono insufficienti e fatiscenti e questo è un impedimento per un reale sviluppo economico; gli imprenditori settentrionali hanno spedito i loro rifiuti tossici, contaminanti e radioattivi al sud stroncando il settore agricolo, alimentare e turistico di molte regioni: mafia n’drangheta, camorra sono comodi alibi per giustificare tale scempio e si potrebbe continuare all’infinito.
Oggi, in seguito alla pandemia, si parla di un rinnovamento totale di tutti i settori portanti dello stato ma, a mio avviso, il primo cambiamento radicale dovrebbe realizzarsi nella coscienza dei cittadini: un onesto esame di coscienza è necessario per valutare i comportamenti sociali, economici e politici tenuti finora perché non si può programmare un futuro diverso volendo continuare ad utilizzare i vecchi schemi. Le amministrazioni comunali non sono più un riferimento per i cittadini che vogliono realizzare le loro aspirazioni, progettualità, innovazioni e partecipare costruttivamente alla gestione della cosa pubblica senza scendere a squallidi compromessi, subire ricatti o sabotaggi. Nei comuni si costituiscono cricche prive di idee e di ideali che perseguono la pura speculazione che arricchisce pochi eletti e soffoca l’economia legale locale con immissione di denaro sporco, sfregiando l’ambiente. Oggi si consumano varie forme di violenza per soffocare coloro che vogliono vivere senza ricorrere a squallidi compromessi e non condividono simili scelte che danneggiano il clima sociale, economico e morale del luogo in cui vivono. I cittadini sono stati cacciati via dai palazzi e palazzetti del potere dove le decisioni vengono prese dai comitati d’affari tramite le loro “scimmiette ammaestrate” locali e chi gli si oppone viene annientato.