"Confessioni di un cronista: quando la formazione diventa una passione" di Davide Romano
Lo devo confessare: la formazione professionale continua obbligatoria per i giornalisti mi ha annoiato fin dal principio. E non è che mi vergogni di ammetterlo. Pensavo, con un certo cipiglio da vecchio mestierante: Ma con tutto quello che abbiamo da fare, tra scadenze, articoli e riunioni, dobbiamo pure perdere tempo dietro a questa cosa?. L’obbligo mi sembrava un peso, un fastidioso orpello burocratico per appagare qualche esigenza di regolamento. Per anni, l’ho vissuta come una formalità, da adempiere con il minimo indispensabile.
Poi, come spesso accade nella vita, è arrivato l’imprevisto. Quest’anno, per motivi personali che non sto qui a dettagliare, mi sono dovuto fermare per un po'. Uno stop forzato che, per un cronista abituato al moto perpetuo, equivale a una gabbia. Non avendo molto da fare e non potendo permettermi di stare senza nulla da fare, mi sono avvicinato ai webinar e ai corsi on demand proposti dall’Ordine dei Giornalisti. Pensavo: Facciamo passare il tempo in qualche modo.
E qui la sorpresa: la cosa mi ha appassionato. Non solo. Mi ha travolto, quasi come una vocazione riscoperta. Ho iniziato a frequentare un corso, poi un altro, e poi un altro ancora. La mia curiosità si è accesa, e da quel punto in poi è stato un crescendo. Temi che mai avrei immaginato di approfondire si sono rivelati stimolanti, strumenti che consideravo secondari si sono dimostrati fondamentali. Il linguaggio dell’intelligenza artificiale, l’etica nell’era digitale, la gestione delle fake news, la sostenibilità ambientale: ogni argomento era un tassello che si aggiungeva al mosaico della mia professionalità.
In meno di un anno, ho frequentato sessanta corsi. Alcuni, lo ammetto, anche di dieci ore. Ho collezionato ben 290 crediti formativi, a fronte dei 60 richiesti dall’Ordine nell’arco di tre anni. Un’esagerazione, direte voi. Probabilmente lo è. Ma in questa bulimia formativa ho scoperto qualcosa che avevo dimenticato: il piacere di imparare. Non quello imposto dalla necessità, ma quello puro, che deriva dalla scoperta di ciò che non si sa.
È stata un’esperienza illuminante, che mi ha restituito la consapevolezza di quanto sia vitale, per chi fa il nostro mestiere, restare in movimento anche quando sembra che tutto ci fermi. Ho imparato che la formazione non è solo un obbligo, ma una risorsa. Una finestra aperta sul mondo, che ci permette di restare al passo con i tempi, di comprendere meglio le sfide del presente e di affrontare con più consapevolezza quelle del futuro.
Così, da scettico sono diventato entusiasta. E, se posso permettermi, consiglio a chi legge di non aspettare uno stop forzato per riscoprire il valore della formazione. Non è tempo perso: è tempo investito. Un investimento su noi stessi, sulla nostra capacità di raccontare il mondo con competenza e onestà. Alla fine, non è forse questo il cuore del nostro mestiere?
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