Il primo "Global strike for future" che si tenne lo scorso 15 marzo portò nelle piazze di tutto il mondo oltre 1,5 milioni di giovani. Il secondo, che si è svolto ieri, secondo le stime ha visto manifestare oltre un milione di giovani in 1.600 eventi organizzati in 119 Paesi, dall'Europa fino alla Nuova Zelanda.
Quello di venerdì è stato il quarantesimo appuntamento settimanale a livello mondiale, originato dall'iniziativa dalla 16enne svedese Greta Thunberg, che nell'estate del 2018 iniziò a manifestare davanti al Parlamento del proprio Paese per chiedere un impegno concreto da parte dei politici locali per iniziative a favore della lotta contro il cambiamento climatico.
Da allora, quelli che sono stati definiti Fridays for Future, si sono diffusi in tutta Europa, prendendo piede anche negli Stati Uniti e in Australia, diventando un appuntamento fisso per gli studenti.
Una protesta folcloristica e naïf? Può darsi, ma di certo non una protesta inutile, visto che i governi continuano a rimanere inerti sul tema, al di là delle dichiarazioni di facciata. Infatti, quando si è presentata la possibilità di fare qualcosa di concreto, come ad esempio nell'ultimo Consiglio europeo di Sibiu, il piano contro il cambiamento climatico presentato da otto Paesi è stato bocciato!
Ma cambiare radicalmente le modalità con cui si producono i beni e le modalità con cui questi vengono "consumati" è sempre più importante e necessario, non solo dal punto di vista sociale, ma anche dal punto di vista ambientale, favorendo investimenti e politiche, sia industriali che fiscali, che guardino alla "decarbonizzazione", unica possibilità per disinnescare la bomba a orologeria dell'aumento della temperatura globale.
E se a ricordarci tutto questo è una ragazzina svedese, non possiamo che dirle grazie.