Fece molto scalpore all’epoca la morte di Gervasio Federici, ucciso nell’ottobre 1947 mentre era intento ad affiggere manifesti per la campagna elettorale della Democrazia Cristiana, in vista delle elezioni nella Capitale da tenersi dell’anno successivo.

Originario di Cerreto Laziale, un paesino vicino Roma, lo studente morì per una coltellata ricevuta da alcuni fanatici comunisti che gli avevano intimato di gridare “Viva il comunismo”. Il 17 gennaio del 1950 si aprì il processo a carico di Alfredo Pozzi ed altri 14 attivisti del Pci.

In questi anni non sono mancate occasioni per ricordare e celebrare il sacrificio del ragazzo; nel IV congresso della Democrazia Cristiana tenutosi a Roma nel novembre 1952 si tenne una commemorazione in piazza Dante con lo scoprimento di una lapide in ricordo.

Alla celebrazione partecipò anche una delegazione di Cerreto Laziale guidata dal Senatore Menghi originario di Tivoli, dal padre della vittima, dal Sindaco e dal Parroco del paesino della Valle dell’Aniene.

Il sindaco di Roma Rebecchini lo definì uomo mite e sereno, caduto nell’intento di riaffermare i valori della fede e libertà, ricordando altresì il suo impegno nei quartieri più difficili della Capitale.

A più di 70 anni dal sacrificio di questo giovane ragazzo, è quanto mai opportuno riaffermare l’importanza dell’esempio che tali figure ci hanno consegnato.

In una politica fatta di toni sempre meno pacati e riflessivi, in cui l’altra parte deve comunque soccombere di fronte a strilli e insulti, si deve ritrovare spazio per il dialogo affinché odio disprezzo e paura non diventino le passioni politiche predominanti.

(Danilo Ilari)