Un recente studio pubblicato sulla rivista The Lancet Public Health ha confermato quello che, nel nostro piccolo, avevamo già intuito: l’aspettativa di vita in Europa ha smesso di crescere a partire dal 2011, e con l’arrivo del Covid-19 ha subito un brusco arretramento. Un colpo particolarmente duro è stato inflitto all’Italia, che ha registrato una delle peggiori riduzioni della longevità, con una media annua di 0,36 anni in meno.

Oltre a statistiche e numeri, che servono più che altro a soddisfare la sete di ricerca accademica e a giustificare politiche inefficaci, chiunque abbia un minimo di senso pratico sa che raggiungere gli 80 anni in buona salute è ormai un privilegio raro. La realtà è sotto gli occhi di tutti: parenti, amici, colleghi che se ne vanno ben prima dell’età pensionabile, stroncati da malattie, stress e da uno stile di vita sempre più insostenibile. Eppure, nonostante questa evidenza, il dibattito sulle pensioni in Italia sembra scivolare sempre di più verso l’assurdo.

La classe politica, senza distinzione di colore, appare ossessionata dall’idea di mantenere un sistema pensionistico insostenibile, spostando sempre più in avanti l’età della pensione, come se i lavoratori fossero delle macchine capaci di funzionare all’infinito. La riforma Fornero ha già fissato l’asticella a 67 anni, ma ora la discussione sembra essere orientata verso un ulteriore innalzamento.

Risultato?

Ci troviamo al punto che, se non si interviene, rischiamo di morire sul posto di lavoro, senza mai aver avuto il tempo di goderci la vita dopo decenni di sacrifici.

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Facciamo due conti:

se l’aspettativa di vita reale (quella che vediamo ogni giorno, non quella trilussiana delle statistiche) si assesta sui 75-80 anni e l’età pensionabile viene continuamente aumentata, cosa rimane ai lavoratori? Una manciata di anni stanchi, spesi tra visite mediche, preoccupazioni economiche e malesseri vari, senza mai il tempo di viaggiare, godersi la famiglia o semplicemente riposarsi dopo una vita di lavoro.

Chi ha deciso che la pensione sia un lusso e non un sacrosanto diritto? Perché, in un Paese dove gli sprechi pubblici e le ruberie sono all’ordine del giorno, si riesce sempre a trovare il denaro per tutto e per tutti, tranne che per garantire un futuro dignitoso a chi ha contribuito con anni di fatica e sacrificio? Eppure, è proprio sulla pelle dei lavoratori che si continua a risparmiare, nonostante l’inefficienza, l’evasione e la corruzione siano quotidianamente visibili.

Sarebbe non solo più umano, ma anche eticamente doveroso, riportare l’età pensionabile a 65 anni, con un assegno che permetta una vecchiaia serena e dignitosa. Invece, quello che si sta facendo è semplicemente costruire un sistema che elimina il problema alla radice:

portare i lavoratori alla tomba prima che possano mai godersi i frutti di una vita di contributi.

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La verità, se vogliamo chiamarla così, è che non si vuole garantire una vecchiaia dignitosa, ma piuttosto spremere fino all’ultimo chi ha dato tanto al Paese. E mentre si discute di tutto e di più, delle pensioni non si parla più. Le nuove generazioni guardano al futuro con la certezza che, con molta probabilità, loro la pensione non la vedranno mai.

Se la politica avesse anche solo un briciolo di coscienza, metterebbe fine a questo scempio. Ma visto il trend in corso, l’unico augurio che possiamo farci è che almeno non tocchino la legge Fornero, perché il rischio è chiaro:

non vogliono portarci alla pensione, ma direttamente al cimitero!

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