Venerdì sul piazzale della scuola elementare di Iqaluit, l'ultimo appuntamento di papa Francesco in Canada.

Questo un passaggio del suo discorso:

"Poco fa ho ascoltato diversi di voi, ex-alunni delle scuole residenziali: grazie per quanto avete avuto il coraggio di dire, condividendo grandi sofferenze, che non avrei immaginato. Ciò ha ridestato in me l’indignazione e la vergogna che mi accompagnano da mesi. Anche oggi, anche qui, vorrei dirvi che sono molto addolorato e desidero chiedere perdono per il male commesso da non pochi cattolici nelle scuole che hanno contribuito alle politiche di assimilazione culturale e di affrancamento. Mamianak [Mi dispiace]. Mi è tornata alla mente la testimonianza di un anziano, il quale descriveva la bellezza del clima che regnava nelle famiglie indigene prima dell’avvento del sistema delle scuole residenziali. Paragonava quella stagione, in cui nonni, genitori e figli stavano armoniosamente insieme, alla primavera, quando gli uccellini cantano felici attorno alla mamma. Ma all’improvviso – diceva – il canto si è fermato: le famiglie sono state disgregate, i piccoli portati via, lontani dal loro ambiente; su tutto è calato l’inverno.Tali parole, mentre provocano dolore, suscitano anche scandalo; ancora di più se le confrontiamo con la Parola di Dio, il quale comandò: «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà» (Es 20,12). Questa possibilità non c’è stata per tante vostre famiglie, è venuta meno quando i figli sono stati separati dai genitori e il proprio Paese è stato avvertito come pericoloso ed estraneo. Quelle assimilazioni forzate rievocano un’altra pagina biblica, il racconto del giusto Nabot (cfr 1 Re, 21), che non voleva cedere la vigna ereditata dai suoi padri a chi, governando, era disposto a usare ogni mezzo pur di strappargliela. E vengono pure alla mente quelle parole forti di Gesù contro chi scandalizza i piccoli e disprezza uno solo di loro (cfr Mt 18,6.10). Quanto male nello spezzare i legami tra genitori e figli, nel ferire gli affetti più cari, nel danneggiare e scandalizzare i piccoli!"

Nella conferenza stampa sul volo che lo ha riportato a Roma, il Papa, rispondendo alle domande dei giornalisti, è ritornato sui temi che hanno caratterizzato e motivato il viaggio in Canada, definendo genocidio quanto accaduto in passato, anche con il contributo delle scuole residenziali cattoliche.

Lei spesso parla del fatto della necessità di parlare chiaramente, onestamente e con parresia. Lei sa che la Commissione canadese per la verità e la riconciliazione ha descritto il sistema delle scuole residenziali come un “genocidio culturale e poi è stato modificato come genocidio. Coloro che hanno ascoltato la sua richiesta di perdono nei giorni scorsi hanno espresso il loro disappunto perché la parola genocidio non è stata usata. Lei userebbe queste parole per dire che membri della Chiesa hanno partecipato a un genocidio? (Brittany Hobson, THE CANADIAN PRESS)

È vero, non ho usato la parola perché non mi è venuta in mente, ma ho descritto il genocidio e ho chiesto scusa, perdono, per questo “lavoro” che è genocida. Per esempio ho condannato questo pure: togliere i bambini, cambiare la cultura, cambiare la mente, cambiare le tradizioni, cambiare una razza - diciamo così – tutta una cultura. Sì è una parola tecnica genocidio, io non l’ho usata perché non mi è venuta in mente, ma ho descritto… è vero, sì, sì è un genocidio. Tranquilli, tu puoi riferire che ho detto che è stato un genocidio.

Al Papa è stato anche chiesto se le sue condizioni fisiche potranno migliorare o saranno permanenti e quello mostrato in Canada sarà così il suo modo di viaggiare in futuro... Una domanda a cui Francesco ha risposto includendo anche ciò che non era stato chiesto:

"Non so, non credo che possa andare con lo stesso ritmo dei viaggi di prima. Credo che alla mia età e con questa limitazione devo risparmiare un po' per poter servire la Chiesa. Poi, al contrario, posso pensare la possibilità di farmi da parte, questa, con tutta onestà, non è una catastrofe, si può cambiare Papa, si può cambiare, non c'è problema. Ma credo che devo limitarmi un po’ con questi sforzi. L’intervento chirurgico al ginocchio non va, nel mio caso. I tecnici dicono di sì, ma c'è tutto il problema dell'anestesia, io ho subito dieci mesi fa più di sei ore di anestesia e ancora ci sono le tracce. Non si gioca, non si scherza con l’anestesia. È per questo che si pensa che non sia del tutto conveniente. Io cercherò di continuare a fare dei viaggi ed essere vicino alla gente perché credo che è un modo di servire: la vicinanza. Ma più di questo non mi viene da dire, speriamo... In Messico non c'è nessuna previsione ancora, eh?"[ ... ]"Quello che il Signore dica. Il Signore può dire dimettiti. È il Signore che comanda. Una cosa di sant’Ignazio, questa è importante. Sant’Ignazio quando uno era stanco, malato, lo dispensava dalla preghiera, ma mai dispensava dall’esame di coscienza. Due volte al giorno: guardare cosa è successo oggi nel mio cuore. Non peccati o non peccati, ma quale spirito mi ha mosso oggi. La nostra vocazione è cercare cosa è successo oggi. Se io – questa è una ipotesi - vedo che il Signore mi dice qualcosa, che mi è successo qualcosa, che ho una ispirazione, devo fare un discernimento per vedere cosa chiede il Signore. Può darsi anche che il Signore mi voglia mandare all’angolo, è Lui che comanda. Questo è il modo religioso di vivere di un gesuita, stare nel discernimento spirituale per prendere delle decisioni, per scegliere una via di lavoro, di impegno pure… Il discernimento è la chiave nella vocazione del gesuita. Questo è importante. Sant’Ignazio in questo era molto fine perché è stata la sua propria esperienza del discernimento spirituale che l’ha portato alla conversione. E gli esercizi spirituali sono davvero una scuola di discernimento. Così il gesuita deve essere per vocazione un uomo del discernimento: discernere le situazioni, discernere la propria coscienza, discernere le decisioni da prendere. Per questo deve essere aperto a qualsiasi cosa il Signore gli chieda questa è un po’ la nostra spiritualità".

Alla fine la domanda diretta su sue possibili dimissioni è arrivata:

Scusi Santo Padre, lo so che ha avuto molte domande di questo tipo, ma volevo chiedere, in questo periodo, con le difficoltà della salute e tutto, le è venuto in mente l’idea che può darsi fosse il momento di ritirarsi? Ha avuto dei problemi che le hanno fatto pensare a questo? Ci sono stati dei momenti difficili che le hanno fatto pensare a questo? (Phoebe Natanson, ABC NEWS)

"La porta è aperta, è una opzione normale, ma fino ad oggi non ho bussato a questa porta, non ho detto andrà in questa stanza, non ho sentito di pensare a questa possibilità. Ma questo non vuol dire che dopodomani non cominci a pensare, no? Ma in questo momento sinceramente no. Anche questo viaggio è stato un po’ il test… è vero che non si possono fare viaggi in questo stato, si deve forse cambiare un po’ lo stile, diminuire, pagare i debiti dei viaggi che ancora si devono fare, risistemare… Ma sarà il Signore a dirlo. La porta è aperta, questo è vero". 

E su un possibile viaggio in Ucraina?

"Io ho detto che in Ucraina vorrei andarci. Vediamo adesso cosa trovo quando arrivo a casa. In Kazakistan per il momento mi piacerebbe andare, è un viaggio tranquillo, senza tanto movimento, è un congresso di religioni. Per il momento tutto rimane. Devo anche andare in Sud Sudan prima che in Congo, perché è un viaggio con l'arcivescovo di Canterbury e con il vescovo della Chiesa di Scozia perché abbiamo fatto tutti e tre insieme il ritiro due anni fa… E poi il Congo, ma sarà l'anno prossimo, perché c'è la stagione delle piogge, vediamo... Io ho tutta la buona volontà, ma vediamo la gamba cosa dice".



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