Nella mattinata di oggi, 12 gennaio 2025, il ministro Guardasigilli Carlo Nordio ha depositato presso la Corte d’Appello di Milano la richiesta di revoca dell’arresto dell’ingegnere Mohammad Abedini, cittadino iraniano residente in Svizzera.
L’ingegnere Abedini su mandato degli Usa che ne sollecitavano l’estradizione, era stato arrestato il 16 dicembre 2024 all’aeroporto di Malpensa, durante lo scalo tecnico del volo Istanbul-Ginevra, e rinchiuso nel carcere di Opera.
La revoca dell’arresto di Mohammad Abedini è motivata dal ministro Guardasigilli perché:
- il trattato di estradizione (art. 2), sottoscritto da Usa e Italia prevede che si possa dare seguito ad una estradizione solo nel caso che i reati contestati siano perseguibili dalle leggi di entrambi gli Stati;
- l’accusa notificata ad Abedini di “associazione a delinquere per violazione di Ieepa” si riferisce alla inosservanza di una legge federale Usa che non trova riscontro nelle fattispecie previste e punite dal diritto penale italiano;
- l’accusa contestata ad Abedini di “associazione a delinquere per fornire supporto materiale ad una organizzazione terroristica” contrasta con la libera attività esercitata da Abedini per la produzione ed il commercio di strumenti tecnologici con il proprio Paese;
- nella black-list delle organizzazioni terroristiche riconosciuta dall’Italia, membro della UE, non c’è riscontro dell’IRGC (Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, noto come Pasdaran).
Le oggettive motivazioni espresse dal Guardasigilli nella richiesta di revoca dell’arresto di Mohammad Abedini, ed in particolare il richiamo all’art. 2 del trattato di estradizione, verosimilmente erano già note al governo Meloni il 16 dicembre 2024 e di certo lo erano al Ministero della Giustizia.
Sarebbe stato possibile, quindi, non autorizzare l’arresto del cittadino iraniano, evitare tensioni con Teheran, ma soprattutto scongiurare che per ritorsione potesse nascere il caso Cecilia Sala.
Purtroppo, però, governo ed istituzioni dell’Italia, Paese considerato di fatto dagli USA come un protettorato, vivono la sindrome di limitata sovranità ed autonomia nella applicazione delle proprie leggi e, perciò, soffrono il bisogno di farsi autorizzare da Washington ogni scelta o decisione nel timore che possa contrariare l’alleato a stelle e strisce.
È in questa logica che possiamo leggere il viaggio lampo di Giorgia Meloni a Mar.a.Lago?