Il merito è solo per i talenti, mai per i prodotti
Bisogna credere nei talenti. Solo in essi.
Se uno nasce bravissimo per fare musica, c'è poco da fare per chi la musica la ama semplicemente come tutti noi. Chi è fruitore, affascinato, appassionato di un'arte non può solo per questo credere di potersi affermare in quel campo. Tuttavia, in un mondo che va alla rovescia chi non ha talento riesce spesso a rubare la scena a chi ce l'ha davvero.
Quando si arriva, a prescindere da come ci si arriva, si simboleggia automaticamente la meritocrazia. Ma non è affatto così; e mai un neologismo fu così inutile e inconsistente come la "meritocrazia", che non è davvero praticabile in un mondo che mira unicamente al profitto, dove tutto è un “prodotto commerciale”, tanto l'arte quanto la professione e la ricerca. Tutto.
Il talento, dunque, interessa poco ed è sovente limitato a torbide ragioni di stato/potere. Ed è raro - certo accade - che nel mondo normale si riesca a conciliare con il prodotto commerciale che ne deriva. Ma il talento esiste comunque ed ovunque; e senza di esso che lotta per emergere e fornire il proprio contributo alla collettività, la nostra stessa collettività non esisterebbe!
Un fortunato paradosso; o la natura che è ancor più forte delle miopie e trame umane.
Mi viene in mente la famosa parabola di Gesù Cristo sui “talenti”, che rappresentava un'unità di valore per il denaro antico. La morale di quel racconto, di notevole saggezza, è che il talento è un dono non per se stessi ma per l'intera collettività, e chi ce l'ha deve metterlo a frutto, farlo rendere per tutti. L'essere umano da solo non va da nessuna parte e sappiamo bene che ciò che si è costruito sinora è frutto di opere collettive, collaborazioni che sfruttano, appunto, i reciproci talenti. Pochi, ma buoni e sufficienti per averci condotto fin qui.
Il talento, quindi, oltre a essere riconosciuto non va soprattutto ostacolato o ridotto a prodotto, come accade nella società attuale: nepotismi, clientelismi o appiattimenti con le uguaglianze inverosimili, fin poi a giustificare il successo nell'inesistente principio della meritocrazia.
Sarebbe auspicabile partire dall'istruzione infantile. Sin dai primi anni di scuola si dovrebbero adottare sistemi che favoriscano l'emersione dei talenti. Non esiste individuo che non abbia talento in qualcosa, e se questo emerge è possibile mostrargli il percorso che lo renderà più felice, con grande beneficio per la società che acquisisce un elemento più attivo, produttivo e fecondo.
Non tutti possiamo farei i medici, i falegnami, i politici, ii cuochi, i musicisti, gli attori, e via discorrendo. Educare al “successo” è profondamente sbagliato e in grado di distruggere tutto ciò che abbiamo costruito, contrariamente all'educazione calibrata sul soggetto che può concretamente far emergere le unicità (talenti) dell'individuo.
L'istruzione è però solo una parte del problema. Se la società non muta, con i suoi messaggi mediatici, televisivi, cinematografici, social, tutti a spingere sulla competizione e sul successo perché “se vuoi… puoi qualunque cosa”, ecco se tutto questo non cambia anche i migliori strumenti educativi del mondo fallirebbero.
Deve essere un lavoro di squadra!
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