A leggere gli aggiornamenti pubblicati da SpaceX, le missioni interplanetarie, a partire da quella su Marte, paiono scontate e già possibili nell'arco di pochi anni. Il calendario della Nasa, invece, appare molto più prudente e, nonostante questo, alcuni dicono che sia ancora troppo ottimistico.

Tra i mille problemi legati alle missioni interplanetarie, uno dei più importanti è legato al tipo di propulsore da utilizzare.

La distanza che separa la terra da Marte è di 401 milioni di km... nel caso peggiore. Invece, facendo coincidere la partenza con le migliori condizioni del percorso orbitale dei due pianeti la distanza si riduce a "soli" 54,6 milioni di km. Un bel risparmio, non c'è che dire. Nonostante ciò, per raggiungere Marte, il tempo che impiegherebbe una nave spaziale sarebbe di nove mesi!

Un problema non da poco, perché ad esso è legato anche quello del trasporto del materiale. Se gli uomini devono vivere nello spazio o devono colonizzare un pianeta hanno bisogno di cibo, acqua e strutture... Quindi, anche la quantità di materiale da trasportare diventa un fattore determinante.

Per tali motivi, diverse sono le ipotesi allo studio della Nasa e delle aziende private con cui l'ente spaziale americano ha iniziato a collaborare sul progetto delle missioni interplanetarie.

Una delle ipotesi su cui si sta lavorando è quella di utilizzare l'energia solare, almeno per la spedizione delle "merci". Le navi da carico partirebbero con mesi di anticipo rispetto a quelle che trasportano gli astronauti, adattando la loro velocità in base all'energia catturata che verrebbe poi trasformata in propulsione elettrica.

Perché utilizzare una soluzione del genere se, teoricamente, la velocità di trasporto sarebbe più lenta rispetto a quella fornita dai propellenti tradizionali? Perché le navi sarebbero più leggere e avrebbero molto più spazio per portare merci necessarie ad una missione su pianeti molto lontani dalla terra.


Ma per far viaggiare più velocemente gli astronauti? Un'idea è quella di utilizzare la propulsione nucleare elettrica facendo partire le navi da una stazione spaziale orbitante che verrebbe raggiunta dagli astronauti con mezzi tradizionali. Qualcosa di simile dovrebbe poi essere presente su Marte dove il passaggio a terra avverrebbe tramite dei "tradizionali" lander.

Questa possibilità si può riassumere nell'utilizzo di un un piccolo reattore nucleare che provocando il riscaldamento dell'idrogeno liquido lo trasformerebbe in gas che espandendosi fuoriuscirebbe dal propulsore, generando una spinta. Utilizzando traiettorie ottimizzate, i tempi teorici di un viaggio su Marte si ridurrebbero a soli tre mesi.

Ma si tratta di teoria, oltre al fatto che non tutti sono convinti che questa tecnologia non possa poi aver conseguenze sulla salute degli astronauti che potrebbero rischiare di assorbire un'elevata dose di radiazioni.


Un'altra ipotesi di studio è quella di utilizzare la propulsione ionica creando una spinta basata sull'accelerazione degli ioni, usando forze elettrostatiche o elettromagnetiche. Questo tipo di propulsione, a differenza della precedente, è già utilizzata per alimentare gli spostamenti dei satelliti nello spazio, ma deve essere "scalata" per essere adattata a vere e proprie navi spaziali. Non una questione di poco conto.


Ma quelle illustrate in precedenza sono ipotesi che gli esperti non ritengono che potranno essere utilizzate non solo nell'immediato, ma neppure per i primi tentativi di missione. Infatti, l'attuale propellente basato su idrogeno liquido e ossigeno finora utilizzato nelle missioni spaziali, è quello che dà più garanzia e sicurezza in relazione alla sua affidabilità, anche se dubbi in proposito si stanno insinuando tra gli esperti relativamente alla durata di una missione per arrivare su Marte.

Il pianeta rosso, nonostante le varie dichiarazioni, non sembra così vicino.