Il Paese che ride ovvero le amministrative 2022 a Palermo, il collettivo Off-Line e... Forza Mafia
Oggi si celebra la festa di una Repubblica umiliata dall’ipocrisia e dalle contraddizioni, macchiata del sangue di chi l’ha difesa per amore della giustizia e della verità. Parate e discorsi altisonanti ma vuoti che stridono con una realtà degradata dalla corruzione e dal pressappochismo di una classe politica fallita che gode di privilegi e comodità sfruttando i sacrifici dei cittadini onesti.
In mezzo a tanto squallore e generale acquiescenza mi ha fatto piacere vedere un atto di civiltà e di buon servizio alla verità e alla giustizia: i manifesti “sacrileghi” apparsi in tutta Palermo ideati e realizzati dal collettivo Off-Line inneggianti sarcasticamente a “Forza Mafia” e alla “DC collusa” per ricordare alla gente di Palermo chi è morto con onore e chi vive con disonore.
Per certi personaggi è stato un bel calcio nello stomaco, meglio di molti articoli di grandi firme a livello nazionale, una “botta di vita” che ha ricordato non solo ai palermitani ma a tutti i cittadini italiani che la guerra non è finita, che il nemico non è fuori dalla Stato ma nel suo interno e continua imperterrito a dettare legge, per svegliare le coscienze addormentate e richiamarle sulle barricate che hanno abbandonato estraniandosi dalla vita pubblica per dedicarsi ai piccoli interessi egoistici.
Che l’artistico messaggio sia stato efficace lo testimoniano le minacce che hanno ricevuto i giornali che hanno pubblicato le foto dei manifesti affissi vicino alla “pubblicità progresso” di Vittorio Mangano con relativa 126 Fiat, modello nazionale usato per dilaniare il giudice Borsellino. In tutti questi decenni mai altri hanno celebrato la verità con tanta efficacia e purezza di intenzioni. Immediatamente è stata attivata la Digos. Chi sono questi “terroristi della verità”? Un collettivo artistico, formato da ragazzi e ragazze che hanno creato i manifesti e che sono aiutati da alcuni amici.
Cosa c’entra la Digos in tutta questa vicenda visto che svolge attività investigativa e informativa finalizzata a contrastare eventuali attività eversive dell'ordine democratico e attività terroristiche a livello nazionale e internazionale, anche di tipo informatico e telematico. Controlla anche tutte le attività di gruppi estremistici che perseguono scopi di sovvertimento sociale col ricorso alla violenza e anche al contrasto di illegalità nelle manifestazioni sportive a opera di gruppi di tifosi violenti organizzati, reati elettorali, delitti contro la personalità dello Stato e ogni altro reato con risvolti sull'ordine e la sicurezza pubblica non riconducibile alla criminalità comune od organizzata.
Quei manifesti contengono fatti di dominio pubblico, sono stati celebrati processi, ci sono sentenze passate in giudicato eppure la reazione è stata “fulminea” da parte di un settore della politica locale, in particolare del centro-destra, infatti i ragazzi hanno reagito dopo l’incontro che Marcello Dell’Utri ha avuto con Totò Cuffaro per fare l’accordo e unificare il centrodestra con Lagalla. In quel momento hanno deciso che avrebbero dovuto fare qualcosa. Era ora di dire basta. Perché basta?
La moglie del candidto sindaco di Palermo Lagalla, Maria Paola Ferro, è la nipote di Antonio Ferro, uno dei boss più importanti della mafia agrigentina, fu il capofamiglia di Canicattì legato da una parte ai Corleonesi di Bernardo Provenzano e dall'altra ai catanesi di Benedetto Santapaola: per correttezza e trasparenza avrebbe dovuto dichiarare pubblicamente i legami di parentela della moglie con un rappresentante di spicco della mafia siciliana. Quando l'argomento è stato affrontato da alcuni giornali siciliani Lagalla ha prontamente rassicurato il suo elettorato di non aver alcun legame con l'ambiente mafioso.
Su richiesta dei personaggi coinvolti la Digos sta dando la caccia a questi “geniacci” che hanno osato dare una lezione di civiltà e richiamare una collettività prona e senza coscienza civile a una riflessione. In Italia servire la verità è pericoloso: onore la merito!
Riporto testualmente alcune dichiarazioni di uno dei ragazzi del collettivo: “La cronista che ha pubblicato per prima i manifesti “Forza Mafia” e “Democrazia Collusa” è stata contattata direttamente dall’ufficio elettorale del candidato sindaco Roberto Lagalla. Al telefono le hanno gridato che sarebbe stata indagata dalla Digos! Lei ha registrato tutto e si è rivolta all’Ordine dei giornalisti. È un atto intimidatorio mafioso. A un altro collega hanno detto che non avrebbe lavorato più. E anche un cronista di Repubblica ha ricevuto diverse telefonate dall’ufficio elettorale di Lagalla. Abbiamo detto: fermi tutti, sono appena usciti di galera, che ci fanno qua?”
In merito alla scelta della strategia utilizzata per arrivare alla gente comune continua: “Partiamo dal fatto che la sinistra non sa comunicare, è rimasta agli anni 90. E anche tutti gli appelli che hanno fatto la sorella del giudice Falcone, Maria e il PM Nino Di Matteo: bellissimi, ma un po’ troppo ‘in politichese’, per gente che abitualmente legge i giornali. Noi abbiamo fatto una comunicazione inversa: il nostro obiettivo è arrivare alla maggioranza silenziosa, agli ignavi di Palermo”.
I ragazzi hanno scartato i social per dei motivi di praticità, seguendo una intuizione estremamente interessante: “Su Internet ci avrebbero bloccato dopo 25 minuti. Con i manifesti usiamo la condivisione di strada. Ognuno scatta la foto e la mette sui social. La gente legge il post, non clicca perché sa di politica, ma per ridere: in quel momento gli tendiamo la trappola, perché ti rimane in testa che Dell’Utri e Cuffaro condannati per mafia hanno scelto oggi, a 30 anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio, il sindaco di Palermo. La nostra non è una battaglia politica, ma etica e antropologica. La destra ha i voti dei quartieri alti. Un “capo-zona” dice chi si vota e tutti lo seguono. Non hai idea che campagna elettorale sta facendo Totò Cuffaro a partire dai detenuti. Ha la sua rappresentante, una ex radicale, per gestire i temi legati al carcere. E con questa scusa girano nei quartieri periferici, cercando di parlare a quello che è il loro elettorato. Inizi così, per ridere. Poi ti indigni”.
A chi fa loro notare che tale impostazione favorisce il candidato della sinistra, replica: “Roberto Lagalla è convinto che siamo pagati da Franco Miceli. Assurdo! Sapesse quante gliene diremmo a Miceli! I primi manifesti erano diretti alla pancia delle persone, per far capire a tutti, anche a chi non sapeva di politica. Quando hanno detto che eravamo ragazzini dei centri sociali, ne abbiamo fatti altri due per alzare il tiro, e mandare un messaggio sofisticato. Queste persone hanno fatto della scorrettezza il loro marchio di fabbrica. Cuffaro ci ha detto che siamo “miserabili e meschini”: adesso ci tatuiamo M&M, ne siamo orgogliosi, è una medaglia al valore”.
Che gli atteggiamenti verso coloro che dicono verità scomode è feroce lo si può constatare a livello internazionale seguendo gli sviluppi della vicenda del giornalista australiano Assange. Restando in Italia i democratici consiglieri comunali a Milano hanno affossato la mozione di Europa Verde per dare la cittadinanza onoraria a Julian Assange, che rischia l’estradizione negli Usa (ergastolo o pena di morte) per aver rivelato notizie vere. Motivo: “Spiattellare documenti riservati non va bene, confligge con il diritto di uno Stato a secretare ciò che non vuole diffondere. Gli Usa hanno dei limiti, ma non sono Russia o Cina: se uno Stato democratico chiede l’estradizione, opporsi può creare problemi”. Inutile pretendere da questi “pennivendoli” che il dovere di un giornalista è svelare i segreti del potere, come insegna la storica sentenza della Corte Suprema Usa sui Pentagon Papers e la sporca guerra del Vietnam.
Speriamo che il M&M abbia molto successo!