La carovana di migranti provenienti dal Centro America giovedì aveva raggiunto la città di Pijijiapan nel Chiapas, regione che si trova nel sud del Messico e dista dal confine degli Stati Uniti circa 1.500 chilometri, determinata a proseguire il viaggio verso il confine americano.

Si tratta di interi nuclei familiari, che stanno fuggendo dalla violenza delle bande, dai ricatti, dalle estorsioni, dalla povertà e provengono principalmente da Salvador, Guatemala e Honduras. Una marcia disperata e incredibile, in cerca di sicurezza e di un futuro migliore.

Quella che adesso si trova nel Sud del Messico è la carovana più numerosa, ma non l'unica. Molte altre centinaia di persone sono in marcia verso nord,  in gruppi di dimensioni più piccole per evitare di essere respinte durante il tragitto.

La carovana attualmente in Chiapas ha lasciato l'Honduras quasi due settimane fa ed è composta da circa 5mila persone, per metà minori, secondo le autorità messicane.

I migranti sono sostenuti nella loro marcia dalle popolazioni locali e dalle organizzazioni umanitarie, che hanno provveduto a fornire loro acqua potabile sicura, kit igienico-sanitari, sali per la reidratazione, protezione solare, sapone.

E Trump? È sul piede di guerra... letteralmente, visto che ha annunciato di voler schierare l'esercito a difesa del confine statunitense, per quella che lui ha definito una vera e propria emergenza nazionale.

Una vicenda, quella in atto, che si intreccia con l'appuntamento elettorale del prossimo 6 novembre. Trump, infatti, c'è da immaginarlo, cercherà di sfruttare la situazione per dare una connotazione politica al problema, in modo da dare "entusiasmo" a coloro che si oppongono all'accoglienza. Le dichiarazioni degli ultimi giorni, sempre più dure nei confronti dei migranti, sembrano fare da battistrada a prossime decisioni eclatanti da parte dell'attuale amministrazione della Casa Bianca.

Ma è una strada comunque scivolosa quella che Trump dovrà percorrere, perché una sua qualsiasi decisione, prima che si chiuda la scadenza elettorale del 6 novembre, potrebbe fare da traino ai democratici e portarli in massa a votare, mettendo a rischio la maggioranza repubblicana al Congresso, non solo nella Camera dei Rappresentanti, ma anche al Senato.