"Ogni giorno lottiamo affinché l'Ucraina riceva le armi e l'equipaggiamento necessari, ma il coraggio, la saggezza e le capacità tattiche dei nostri eroi non possono essere importati". 

Questo è quanto dichiarato mercoledì sera da Zelensky nel resoconto quotidiano serale sull'andamento della guerra. Inoltre, più o meno contemporaneamente, il presidente americano Joe Biden aveva annunciato un nuovo piano di aiuti (che comprende anche armamenti) da un miliardo di dollari da destinare all'Ucraina.

Adesso, con tali premesse, è impossibile credere che, come ampiamente annunciato e pontificato da alcuni giornalisti qui in Italia, Macron, Scholz e Draghi -  che oggi si siano recati a Kiev - possano intimare a Zelensky un aut aut del tipo o accetti la pace con la Russia oppure smettiamo di inviarti aiuti e armi.

I tre che incontreranno Zelensky dopo aver visitato Irpin si sono recati in Ucraina per confermare gli aiuti, anche quelli militarti, al Paese e per trovare un'intesa sulla procedura d'ingresso nell'Unione europea, cercando di inventare una formula che possa salvaguardare le richieste di accelerazione di Kiev e le procedure attuali indicate dall'Ue, oltre a tutelare gli step percorsi da altri Paesi che da anni hanno richiesto l'adesione e che ancora non hanno fornito tutte le garanzie per farne parte.

I tre leader europei oggi in Ucraina hanno ragioni diverse a supporto di questa visita, ragioni che comunque hanno come denominatore comune la necessità di dare risposte all'opinione pubblica dei rispettivi Paesi per dimostrare che non è possibile interrompere quanto fatto finora: Macron in vista delle elezioni di domenica, Draghi per cercare di tenere insieme la propria maggioranza, Scholz per scrollarsi di dosso l'etichetta di "sor tentenna" che si sta conquistando in Germania.

Quindi, la visita odierna, salvo sorprese, annuncerà l'impegno dell'Europa nei confronti di Kiev, con l'invio di aiuti umanitari e finanziari, oltre a quello per l'invio di nuove armi. Il tutto sarà giustificato, e di questo non ci sono dubbi, dal sacrificio finora messo in atto dagli ucraini a sostegno della propria integrità territoriale e della propria libertà.


Sul fronte militare, quanto sta accadendo a Severodonetsk è sempre più simile a quanto già visto a Mariupol. La città è distrutta, alcuni civili, insieme ad un certo numero di militari sono rifugiati dentro un impianto industriale, quello chimico di Azot, mentre altri 10mila sono intrappolati nella città senza avere possibilità di poterne uscire, almeno rimanendo in Ucraina. Infatti i quattro ponti (uno ferroviario e tre stradali) sul fiume Siversky Donets che collegavano Severodonetsk con la città gemella di Lysychansk sono andati distrutti. Si continua a combattere per una questione di principio, le ragioni militari, a questo punto, non sembrano trovare spiegazione alcuna.

Esplosioni si registrano nel nord-est dell'Ucraina e in altre aree, ma i combattimenti sono concentrati soprattutto nel Donbass, con i russi che, secondo gli analisti, continuano ad avere sempre più problemi nel supportare l'invasione. I gruppi tattici di battaglione, infatti, che dovrebbero essere composti tra i 600 e gli 800 uomini, sono tali solo sulla carta, visto che in alcuni casi i reali effettivi non superano le poche decine. Inoltre, per Mosca, a causa della mancanza di uomini e mezzi, aumentano le difficoltà nel tenere sotto controllo le zone occupate dove tra l'altro, come nella regione di Kherson, si registrano controffensive da parte dell'esercito ucraino.

Questi i numeri dell'ultimo bollettino sulle perdite russe dal 24 febbraio fornito dall'Ucraina: 32.950 soldati (secondo fonti occidentali almeno la metà di tale cifra è comunque più che credibile e sarebbe già superiore alle perdite russe nella guerra in Afghanistan),1.449 carri armati, 3.545 veicoli corazzati da combattimento, 729 pezzi di artiglieria, 233 sistemi di lancio multiplo di razzi, 97 sistemi missilistici terra-aria, 179 elicotteri, 213 aeroplani, 591 droni e 13 imbarcazioni.


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