L’intervista al giovane scrittore romano Mirko Giudici, alle porte della presentazione del suo secondo romanzo “Dietro gli occhi di un Soldato”. Dalla sua vita nel compound in Kosovo alla sua voglia di scrivere e trasmettere emozioni. Dai suoi sogni alle sue preferenze. Addentriamoci dentro il cuore di uno scrittore con gli occhi del soldato.

 

Ciao Mirko.
Ciao, ringrazio in anticipo il team di “Fai Informazione” per la disponibilità e l’interesse.

 

Grazie a te Mirko. Cominciamo parlando di te. Sappiamo che sei partito come volontario nell’Esercito Italiano, vuoi parlarci della tua passione per la vita militare?
All’età di 15 anni volevo entrare nella Scuola Militare “Nunziatella”a Napoli ma i miei genitori non mi lasciarono andare. Pensavano che ero troppo giovane per affrontare la vita militare e poco maturo per fare quel tipo di scelta. Speravano che con il crescere avrei cambiato idea ma non andò proprio così (ride). Tuttavia, appena diplomato partecipai al concorso per “l’Accademia Militare di Modena” ma non riuscii a superare i test d’ingresso. Questa cosa non mi allontanò minimamente dal mio obbiettivo, e così nell’aprile del 1999 mi arruolai in qualità di volontario in ferma breve nell’Esercito Italiano. Dopo un duro e faticoso addestramento presso il RAV di Ascoli Piceno, durato circa 4 mesi, sono stato assegnato alla “Brigata Ariete”, un reparto operativo situato a Maniago, nella provincia di Pordenone.

 

Sappiamo che hai partecipato alla Missione Umanitaria di Pace in Kosovo, nei Balcani, vuoi parlarci di questa tua esperienza?
L’aver avuto l’opportunità di partecipare alla missione di pace in Kosovo è stata sicuramente un’esperienza di crescita professionale oltreché motivo di orgoglio. Ritrovarsi protagonista in uno scenario di guerra non è certo piacevole ma ha significato molto,  sia dal punto di vista professionale che da quello personale. Devo dire che, durante il mio soggiorno in Kosovo, avevo stretto delle bellissime amicizie, sia con i miei ex commilitoni che con la popolazione civile. In qualche modo lo stare lontani da casa, lontano dai propri affetti e dalla propria famiglia ti tempra dentro e ti aiuta a diventare più responsabile. Toccare con mano la sofferenza della gente, dei bambini e guardare negli occhi le cicatrici indelebili della guerra ti aiutano a crescere prima e a diventare “Uomo”.

 

Ci è voluto molto coraggio, da parte tua, scegliere di partire volontario e partire per una missione. Che cosa ti ha spinto nel fare questo tipo di scelta?
La mia scelta è stata dettata dalla mia passione per la vita militare e avevo sempre sognato di partecipare ad una missione di pace. La gente comune fa l’errore di pensare, in maniera superficiale, che i militari italiani approfittano delle missioni per fare soldi. Io avevo 21 anni, ero giovane e percepivo già un buon stipendio in Italia e non ho scelto di partire per il Kosovo solo esclusivamente  per soldi. Certo, sarebbe ipocrita negare che l’aspetto economico non sia rilevante ma non si esaurisce solo per quella ragione. Noi, in Kosovo, lavoravamo 24 ore su 24 e sinceramente la paga, anche se per le persone comuni poteva essere considerata alta, non era affatto equiparabile al nostro operato. Noi rischiavamo la vita ogni giorno, ogni ora, ogni singolo minuto, eravamo in prima linea e facevamo dei turni assurdi, e sotto il fuoco nemico, con l’adrenalina a mille e la consapevolezza che potevamo rimetterci la pelle e non fare rientro in Italia.

 

Mi incuriosiva sapere cosa si prova a trascorrere il giorno di Natale in un teatro di guerra?
E’ stata un’ esperienza indimenticabile. Naturalmente, chi come me era lì, avrebbe preferito trascorrere la notte di Natale con la propria famiglia e i propri cari in Italia ma è stata comunque una notte diversa dalle altre che ha arricchito il mio bagaglio personale di esperienze. Ricordo che avevamo raggiunto i meno 27° e ho compreso il significato della parola “freddo”. Avevo uno strato di ghiaccio che si era formato sulla canna del mio fucile Beretta AR 70/90 . Quella sera, per la prima volta mangiammo qualcosa di diverso rispetto ai sofficini, croccole, cordon bleu che mangiavamo solitamente nel compound. In realtà, quella sera non feci in tempo a mettermi in bocca una fetta di panettone che ero già sul mezzo con il mio fucile e tre caricatori in dotazione. Quella notte abbiamo fatto tantissimi controlli e sequestrato, con il supporto del Msu Carabinieri, tante armi etc..

 

Sono rimasto colpito di un passaggio, ben descritto nel tuo libro, quando racconti del tuo gesto di solidarietà nel donare il tuo “sacchetto viveri” ai bambini di “Goradzevac”
Si ricordo molto bene quei momenti. Vedi, in Kosovo ho visto cose che non capiterebbero mai di vedere in una normale società civile. Ho visto con i miei occhi la povertà vera, la fame della gente, le precarie condizioni igienico sanitarie della popolazione locale, ma soprattutto gli occhi tristi e spaventati dei bambini. E’ qualcosa che ti segna dentro radicalmente. Ho visto bambini, chi senza una gamba, chi senza un braccio, chi senza un occhio, a causa delle centinaia di migliaia di mine antiuomo sparse per tutta la provincia del Kosovo. E’ stato stimato che nei Balcani c’è la maggiore concentrazione di mine antiuomo presenti sul territorio. Credo sia naturale, che di fronte una cosa simile, si è spinti a privarsi di qualcosa pur di aiutare chi è meno fortunato di te. Ricordo che c’era una bambina, di nome Dorotka, aveva circa 5 anni, era una piccola bambola, con i capelli sporchi dal fango, che mentre correva lungo un campo, una mina gli aveva fatto saltare letteralmente un braccio. Quando mi vedeva passare, i suoi piccoli occhi azzurri mi sorridevano sempre perché sapeva che facendo perlustrazione gli regalavo ogni volta una busta piena di cioccolata. Sono quelle le cose che ti ripagano e ti fanno sentire utile per qualcuno e soprattutto danno un senso al tuo operato.

 

Nel tuo libro racconti di un evento abbastanza importante che ti ha sconvolto particolarmente, mi riferisco dell’attacco a Mitrovica, vuoi raccontarci cosa hai provato e quali sono state le tue emozioni in quel momento?
A Mitrovica è stato come scendere nell’abisso dell’inferno e vedere la morte in faccia. Ci siamo ritrovati nel bel mezzo di una guerra, tra il popolo serbo e quello albanese. Fortunatamente, abbiamo avuto l’ausilio ed il supporto degli alleati Francesi, ma non oso immaginare cosa sarebbe potuto accadere se non ci fossero stati. Eravamo in minoranza rispetto a due gruppi di violenti facinorosi armati fino ai denti. Ho toccato con mano l’odio e la violenza degli albanesi e la ribellione dei serbi.

 

Il tuo libro manifesta una velata denuncia riguardo un tema molto caldo e discusso che è stato oggetto di molte polemiche e numerosi studi, mi riferisco “all’Uranio Impoverito”presente nell’Ex Jugoslavia, vuoi spiegarci meglio quale sia il tuo pensiero a riguardo?
Sono stati numerosi i militari italiani che sono morti di cancro che avevano partecipato alle missioni di pace nei Balcani. E’ stata indetta anche una commissione medico militare per verificare se ci fosse una correlazione scientifica tra l’Uranio Impoverito (DU) e i tumori. Nella stragrande maggioranza dei casi, le autorità competenti hanno voluto insabbiare tutto e non riconoscere la verità delle cose. Una cosa è certa e mi sento in dovere di dirla, a noi che eravamo lì, impegnati in tutte le operazioni logistiche non ci veniva comunicato nulla a riguardo. I nostri superiori avevano minimizzato il problema e la NATO ci aveva aumentato l’indennità giornaliera. Questo per dire, che hanno voluto nascondere i danni provocati dall’Uranio Impoverito e hanno voluto pagare il nostro silenzio. Su questa faccenda vengono discusse quattro tesi principali riguardanti l'uso di armi all'Uranio impoverito in Jugoslavia da parte della NATO negli anni 90. La prima tesi sostiene che il DU è dannoso e pericoloso, non solo come agente tossico chimicamente, ma anche dal punto di vista radiologico. La seconda sostiene che le autorità politiche e militari italiane non potevano non essere informate sulla pericolosità del DU e sul suo utilizzo negli scenari di guerra dell'ultimo decennio e che non è vero, poi, che le armi al DU non siano proibite a livello internazionale. La terza tesi sostiene, come sia lecito attendersi, l'insorgenza di tumori da DU nei militari italiani, effettuando una stima dei casi attesi nella popolazione oltre che nei militari. La quarta tesi mette in evidenza come la presenza di DU sia difficile da determinare sperimentalmente con rilevazioni sul campo. In aggiunta, il problema "DU nei Balcani" è solo la punta dell'iceberg delle conseguenze di una guerra chimica, radiologica ed ecologica condotta dalla NATO contro la Jugoslavia e contro l'intero sistema ambientale dei Balcani. Io ritengo che, malgrado non vogliano riconoscerlo, ci sia una stretta correlazione tra l’Uranio Impoverito e l’insorgenza di malattie neoplastiche. A dimostrazione di quanto dico, basti pensare che gli alleati americani che operavano sul nostro stesso territorio indossavano delle mute speciali e delle mascherine come protezioni, al contrario di noi italiani che operavamo a mani nude e senza alcun tipo di tutela.

 

Mi hai detto che nel 2018 ti è stato diagnosticato un tumore, non hai mai pensato che questa patologia possa essere in qualche modo correlata “all’Uranio Impoverito” presente sul territorio dell’Ex Jugoslavia?
Beh a dire il vero, qualche volta ci ho pensato, anche se è difficile dirlo con certezza considerando che sono trascorsi tanti anni, ma non posso del tutto escluderlo. Però, se penso ai tanti giovani ai quali, ogni anno, viene diagnosticato il mio stesso tipo di tumore,  malgrado non siano mai stati nei Balcani, allora mi viene da pensare che molto probabilmente non sia stata l’esposizione all’Uranio Impoverito a farmi contrarre il cancro.

 

Un ultima domanda per concludere, quali sono ora i tuoi progetti futuri?
Attualmente sto lavorando al mio nuovo romanzo, che tratta la mia dolorosa esperienza contro il cancro e la mia “rinascita”. Il mio desiderio, come quello di qualsiasi scrittore emergente, è quello di riuscire un giorno a pubblicare con un grande editore, che creda nel mio potenziale e investa sulle mie capacità e soprattutto sulla mia passione per la scrittura.

 

Un sentito grazie per il tempo che ci hai messo a disposizione e un grosso in bocca al lupo per il tuo nuovo libro. Vuoi ringraziare qualcuno in particolare? Dove i lettori possono acquistare il tuo romanzo: “Dietro gli occhi di un Soldato”?
Grazie a voi! Ringrazio in particolar modo mia moglie Alessandra, la mia famiglia, i miei amici e i parenti che mi supportano in questa mia passione letteraria.

 

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