Cultura e Spettacolo

Alice Lottici e Federica Turro, due talentuose studentesse dell’istituto Fabio Besta di Milano, in un esperimento durante lo stage, intervistano negli show room Gruppobea l’artista Mattia Frignani

Attraverso gli occhi di Alice e Federica, con la passione della psicologia e studi in scienze umane, nell’esperimento proposto dallo psicologo francese Jonas Bendaou e la docente Mangano, in cui gli studenti imparano a maneggiare le emozioni, si percorre il flusso creativo nel mondo di Mattia Frignani, un art designer lombardo che iniziò sin da bambino a giocare con la sua creatività e che nel ’95 realizzò la sua prima creazione: una lampadina da tavolo molto lineare. Oggi espone nell’atelier Epipla per il fuorisalone di Milano.


Mattia, siamo rimaste affascinate dall’unicità delle tue opere ma soprattutto dal tuo spirito creativo. Dove trovi ispirazione per le tue creazioni?

La maggior parte delle volte, tra le tante immagini oniriche che ti passano per la mente, sia durante la giornata sia durante la notte, si è costretti a fare una scrematura cercando di capire in che modo indirizzare i propri sforzi, dopodiché si inizia il processo di creazione, che è un processo lungo, complesso ma assolutamente spontaneo. Ultimamente è più difficile trovare ispirazione, forse anche a causa di quell’universo social in cui si può trovare tutto e il contrario di tutto. Al giorno d’oggi, quando devi creare qualcosa, hai sempre paura di non essere abbastanza originale o magari di avvicinarti a ciò che è già stato fatto da altre persone; bisogna essere in grado di cancellare dalla propria testa quello che si è visto e mettere insieme i tasselli partendo da zero


La nostra generazione è vicinissima al mondo social e comprendiamo quando parli di appiattimento; è per questo che ci affascina moltissimo l’idea immaginaria legata alla costruzione di un’opera. Ci ricorda un po’ le dinamiche psicologiche nelle opere di Dalì: In ogni colore, in ogni variazione, c’è il senso del sogno. Ti va di spiegarci cosa provi, cosa senti davanti alla tua creazione finita

Alice, Federica, in primis devo dirvi che sono molto colpito dalla vostra sensibilità d’ascolto. Magari non c’entra nulla ma era importante comunicarvelo.

Onestamente non sono mai contento di quello che faccio. Mi sento come se non raggiungessi mai un traguardo, e mi ritrovo a pensare che avrei potuto fare di meglio. Poi succede di ripromettermi che la volta successiva adotterò delle sfumature diverse, un altro modo. La verità è che quando finisco un’opera, la maggior parte delle volte non riesco mai a gioire completamente; e questo è un gran peccato


Sentiamo un malinconico senso del “non compiuto” in questo tuo ultimo pensiero. Sbagliamo?

Me lo dicono in molti. C’è di vero che, nell’animo, ogni tanto sentiresti il bisogno di essere completamente soddisfatto. Ma questo non mi accade quasi mai

Proviamoci. Come ci insegnano a scuola, siamo qui per sfiorare le emozioni. In questa costante ricerca, c’è una creazione che ti ha lasciato più soddisfatto e quindi a cui se più affezionato?

Sì. Proviamoci. L’opera a cui sono più legato purtroppo l’ho venduta. Ho realizzato una serie di poltrone in ferro battuto che hanno qualcosa di zoomorfico, ma anche qualcosa che sento appartenere al mondo vegetale. La prima che ho realizzato è quella di cui vado più fiero. Devo però ammettere che l’ho fatta in un periodo in cui avevo una prestanza fisica differente rispetto ad adesso, parliamo di una decina di anni fa.


Stai dicendoci che si cambia e, con noi, cambia l’opera?

Sì. È proprio così, e succede ad ogni livello sociale. In qualsiasi lavoro. Credo lo scoprirete con il tempo. Soprattutto, se cambia il risultato, cambiano anche gli occhi di chi guarda; è una equazione composta da migliaia di fattori. Ed è senza fine.


C’è un aspetto dal gusto profondamente antico in quello che ci racconti. L’idea dell’elemento fisico e della natura richiama una poesia primitiva che pare permeare le tue creazioni

Sicuramente, sono d’accordo con voi. Il rapporto con la materia è per me fondamentale. Dalla materia capisci, man mano che la lavori, quali sono le tecniche per affrontarla. Soprattutto, scopri sempre nuove cose, e ti rendi conto che dall’errore emergono degli aspetti della materia sempre in grado di offrirti nuove ispirazioni, che ti consentono di affrontare il lavoro successivo in maniera differente. All’improvviso, arrivi in una direzione diversa rispetto a quella che avevi immaginato. È come essere un piccolo chimico.


Lasciarsi trasportare dall’onda materica. Questo è un flusso. Eppure vi è una grande consapevolezza. L’espressione, in fondo, è il risultato di una motivazione intrinseca. Mattia, a cosa pensi mentre crei? Vuoi raccontarci le tue emozioni?

Voi due farete le psicologhe. Lo sento. D’altronde, avete scelto una scuola importante: il Besta.

In merito alla domanda, Sono sempre in una sorta di trans, come se mi calassi in un altro mondo e tutto quello che mi succede intorno passasse in secondo piano. Non mi concentro, più che altro mi perdo completamente, questo smarrimento e questa improvvisazione mi portano nuove idee e poi ritorna il caos. È un mondo pazzo ma bello. Sono consapevole ma non lo sono. Come fossi perennemente in bilico tra quello che so e quello che sta per accadere. Ora, ho una certezza: sono qui a Milano nel bellissimo atelier Epipla. Nuovi stimoli. Nuove avventure. Ed io spero possiate esserci anche voi per avvicinarvi alle mie visioni e, soprattutto, per dare continuità alla vostra capacità di ascoltare le singole sfumature di un essere umano.

Che dire. Noi ci saremo. La nostra curiosità ci spinge a seguire queste onde.

Alla fine di questa chiacchierata, in cui il nostro tutor Jonas Bendaou ci ha chiesto di mettere alla prova la nostra modalità di ascolto, abbiamo trovato un artista coinvolgente. Abbiamo apprezzato le sue capacità di raccontarsi con scioltezza, usando il suo realismo, la sua umiltà; non ha mai esaltato la sua figura di designer, ma si è presentato come un uomo semplice che ama la sua professione. Ascoltando Mattia, abbiamo percepito immediatamente che l’art design non è arte confinata in una cornice da ammirare, ma rappresenta tutto quello che viene immaginato e sviluppato per essere integrato nella vita di un uomo; mettendoci dentro la vita di un altro uomo.

Possiamo dire che quella fatta in Gruppobea è stata una bellissima lezione di vita in grado regalarci la convinzione che non è sempre necessario normalizzare o incanalare l’arte. Perché lo spirito creativo, spesso, viene veicolato dal senso di quel “non compiuto“ e dall’esigenza di trovare un rifugio dal mondo esterno.

Nulla di tutto questo va fermato. La passione e l’estrema sensibilità dell’artista, alla fine faranno veramente la differenza.

E noi, per quanto ci riguarda, grazie anche alla nostra professoressa Mangano, abbiamo deciso che ci iscriveremo al percorso di psicologia, mettendo in campo ogni particella che appartiene all’amore per questa materia.

Mattia ci piace.

Autore designofpsychology
Categoria Cultura e Spettacolo
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