SI LAVORA AL TERZO NUMERO EDITO DA UNA SEZIONE DELL’ASS. CULT. META. INTERVISTA AL DIRETTORE RESPONSABILE MARY BLINDFLOWERS.  

 E’ in cantiere il terzo numero della rivista “Destrutturalismo” nata da un movimento ideato dall’artista Mary Blindflowers. La rivista incarna una libertà letteraria tanto agognata quanto chimerica. Non c’è schema né barriere mentali ma ricerca. La realizzazione grafica, l’impaginazione e la stampa viene curata da una sezione delle edizioni META dell’ass. cult. omonima. Il presidente dell’ass. cult. META, prof. Calogero La Vecchia, ha abbracciato subito il progetto: “Siamo per la libertà espressiva che si inquadra certamente nel progetto complessivo dell’associazione culturale di cui sono il presidente e crediamo che si cresce solo se ci si confronta anche se questo confronto avviene tra realtà culturali diametralmente opposte. E’ importante non avere chiusure e preclusioni.”.

Abbiamo fatto quindi qualche domanda al direttore responsabile Mary Blindflowers.

 

Quale motivazione c'è dietro il progetto del destrutturalismo letterario?

Destrutturalismo, un termine che viene usato impropriamente da molti e che ho coniato una ventina di anni fa quando decisi di creare un piccolo blog amatoriale su una piattaforma che ormai è stata cancellata e i cui contenuti sono stati trasferiti di recente nel sito di Antiche Curiosità  (https://antichecuriosita.co.uk/) che contiene appunto il Blog Destrutturalismo (https://antichecuriosita.co.uk/blogs/) che sta raggiungendo nel suo piccolo il milione di visualizzazioni, non poco per un blog letterario. Nel bene e nel male, più di qualcuno ci legge. Molti leggendoci imprecheranno e ci malediranno, ma c’è anche chi ci sostiene. 

Il Destrutturalismo non è un progetto e nemmeno un movimento tout court, ma più uno stato d’animo, una tensione verso la consapevolezza che oltre alle verità preconfezionate prestateci dal mainstream, esiste qualcos’altro, una prospettiva di analisi del testo completamente anti-antropocentrica, anti-accademica e anti-casta, apolitica e apartitica, aliena dalle fascinazioni del nome sbandierato dal marketing. Si deve leggere il testo in sé, senza farsi influenzare dalle biografie degli scrittori più in voga, bio costruite perlopiù a tavolino, per creare una immagine pubblica confortante e falsa. 

Prima si legge poi si scrive o si dipinge. La scrittura e la pittura destrutturalista non può che anelare alla sperimentalità contro il parere di chi sostiene dogmaticamente con la sentenza inappellabile che sia stato tutto scritto e tutto detto, verità che giustifica perlopiù la mancanza di una reale creatività artistico-letteraria. 

 

Perché il nome di "Destrutturalismo"? Cosa, secondo te bisogna de-strutturare?

Destrutturare significa smontare il meccanismo del sistema in piccoli pezzi che consentano un’analisi obiettiva delle realtà storiche, letterarie ed artistiche del nostro tempo e anche del passato. Questo non viene affatto rinnegato, ma sottoposto al vaglio della ragione dialettica e critica. Da qui il crollo dei miti fini a se stessi e da qui la rabbia di certi scrittori perfettamente aderenti alla suggestione del nome celebre che ci attaccano perché esprimiamo sempre un punto di vista libero e non vincolato a prospettive di stampo accademico o di massa. Posso dire che il Destrutturalismo, come tutti i sogni ad occhi aperti, ha una sua dimensione utopica. L’idea che la meritocrazia in campo artistico possa raggiungersi soltanto svincolando l’artista da condizionamenti di ordine politico, è infatti utopia.  L’idea che il talento debba essere giudicato indipendentemente dalle tessere di partito e dal sostegno dei grossi gruppi finanziari che attivano la macina del marketing, è assurda, lo capiamo. Tuttavia chi fa letteratura, pur sapendo come funziona il meccanismo, non può e non deve rinunciare alla creazione, soltanto perché sa che non entrerà mai nella luce. Ci muoviamo nel buio, dunque, perlopiù ignorati. La persistenza dell’idea però non ne è minimamente scalfita. Così in tempi così poco favorevoli allo sperimentalismo e alla libertà espressiva, abbiamo creato una rivista legata ai post del blog in cui ciascun sperimentatore può creare liberamente.

 

Chi può partecipare alla rivista? Bisogna superare una selezione?

Può partecipare chiunque sappia scrivere e navighi sul terreno dello sperimentalismo letterario che però non deve tradursi in giochi di parole sterili che girano su se stesse, bensì su un concreto significato di denuncia del nostro tempo, di destrutturazione e scomposizione del reale per poter dare al lettore la possibilità di capire meglio tutto il meccanismo dell’orologio i cui ritmi dettano legge in campo artistico-letterario. Capire non ci aiuterà a migliorare il mondo, ma quantomeno saremo consapevoli. La redazione sceglie i lavori più adatti alla pubblicazione. Chi vuole partecipare può scrivere a [email protected]

  

Perché per questa rivista proprio un piccolo editore, tra l’altro senza una vera e propria struttura editoriale e assolutamente amatoriale, di Canicattì?

Perché i grossi editori non sono interessati a progetti sperimentali di gente che non ha tessere di partito e agganci altolocati. Per essere pubblicati dalla grossa editoria oggi ci vogliono due cose, raccomandazioni e innocuità. Non si può criticare alcunché. La dialettica è bandita. I libri inutili e innocui vengono pubblicizzati a tappeto, e meno dicono più il marketing è pressante, la presenza sul mercato ossessiva. Chi non ha nulla da dire è la nuova star dei nostri tempi e lo è proprio per la sua mediocrità in cui tutti possono riconoscersi. La sperimentazione è difficile da capire, richiede uno sforzo in più, una concentrazione della mente che oggi costa troppa fatica a lettori abituati al peggio, all’inutile, al banale che si legge in fretta e dice esattamente ciò che dice e niente più. 

 

Il progetto della rivista può avere un futuro? e quale?

Non saprei, non ho la palla di cristallo e non predico il futuro anche se c’è chi dice che sono una strega. Chi vivrà vedrà. Io vivo il qui et ora, il resto mi interessa poco.