Matteo Salvini e Luigi Di Maio, politicamente, sono due zoppi che faticano a camminare. Di Maio si è azzoppato con le proprie mani, gradualmente e metodicamente, dilapidando in un anno di governo il consenso del suo movimento per regalarlo alla Lega di Salvini.

Anche Salvini si è azzoppato da solo, ma lo ha fatto all'improvviso, mentre correva come il vento senza che nessuno riuscisse non solo ad avvicinarglisi, ma neppure quasi a vederlo. Pensando, forse, che tutto gli potesse esser concesso, il segretario della Lega ha decretato di fatto la crisi del suo Governo, sfiduciando Conte, alcuni dei ministri 5 Stelle ed invocando nuove elezioni quanto prima.


Se Salvini abbia agito in tal modo per portare a casa il consenso che vede il suo partito in testa a qualsiasi sondaggio oppure per qualche altro oscuro e inconfessabile motivo, non è dato di sapere.

Quel che però è evidente è che Salvini ha sbagliato tempi e modi della crisi, accorgendosi dopo qualche giorno del suo madornale ed incredibile errore.

Che il vicepremier leghista avesse saputo che Mattarella avrebbe in ogni modo evitato il ricorso al voto, almeno provandoci, è fuor di dubbio. Quello che però Salvini non si sarebbe mai immaginato è il voltafaccia di Matteo Renzi che, in base ai suoi disegni, ha deciso che per il Pd fosse più conveniente governare persino con il nemico pentastellato piuttosto che consentire un Governo a guida Salvini e Meloni.

Dopo tante decisioni sbagliate, seppur presa non certo per interesse del Paese, Renzi stavolta è riuscito almeno a dire la cosa giusta. Oltretutto in linea con le guide spirituali dei 5 Stelle, Grillo e Casaleggio.

Zingaretti, dopo aver ribadito di voler andare alle urne, ha comunque precisato quello che già tutti sapevano, cioè che si sarebbe rimesso a ciò che Mattarella avrebbe chiesto ai vari partiti.


A questo punto, il panico di Salvini è diventato terrore, con i peggiori incubi che hanno iniziato a materializzarsi davanti ai suoi occhi... non essere più ministro, al massimo senatore semplice, alla mercé di una maggioranza giallorossa (ma non romanista), pronta a darlo in pasto al primo magistrato che ne faccia richiesta.

E tanta è la paura che ciò accada che Salvini, ad un post di Saviano che lo immagina destinato al "gabbio" ha risposto "solo" in questo modo: "Il signor Saviano mi vuole vedere in galera. Che faccio amici, gli do retta e mi dimetto o tengo duro?"


Appunto, non dimettersi. Sembra questo il paradossale scenario che il prossimo 20 agosto si stia preparando al Senato. Dopo aver preteso la Crisi, Salvini probabilmente non farà nulla per formalizzarla: lui e gli altri leghisti non si dimetteranno da ministro e non sfiduceranno neppure Conte... anche nel caso - più che probabile - che nel suo prossimo intervento al Senato dirà di Salvini e della Lega peste e corna.

Una situazione incredibile, inimmaginabile per qualunque altro leader politico e in qualunque altro Paese. Ma Salvini è ormai così sicuro che il suo attuale consenso sia supportato da dei cretini a cui si può dire e far credere qualunque cosa, che è molto probabile, se non addirittura quasi certo, che martedì prossimo il suo gruppo non sfiducerà il premier Conte e quindi neppure il Governo.


Da capire, pertanto, che cosa farà l'altro zoppo, Luigi Di Maio. Se dovesse chiudere questa esperienza di governo ed escludere qualsiasi rimpasto per continuare l'alleanza con la Lega, la sua carriera politica sarebbe comunque finita. Se si andasse alle elezioni, il Movimento non prenderebbe che pochi voti e lui non potrebbe comunque ripresentarsi perché verrebbe meno alla regola dei due mandati. Se i grillini facessero un Governo con il Pd, lui - quello che definiva il Pd come il partito di Bibbiano - non potrebbe certo farne parte. E naturalmente, finirebbe poi anche per essere messo in discussione il suo incarico di capo politico dei 5 Stelle.

Poi, ci sono i problemi pratici di un accordo con il Pd, rappresentati, ad esempio, dal taglio delle poltrone dei parlamentari che non ha previsto però il taglio proporzionale dei rappresentanti delle regioni che debbono partecipare alle elezioni del presidente della Repubblica (art. 83 della Costituzione), creando uno squilibrio in termini di voto che non rispecchierebbe il dettato costituzionale. Anche il cosiddetto salario minimo non coincide con ciò che è l'idea del Pd, perché la soluzione grillina rischia di far saltare i contratti nazionali.


Pertanto, Salvini spera che il dialogo tra grilini e Pd muoia sul nascere e che Di Maio rifletta sulla propria condizione attuale e quella futura che, senza la Lega al governo, sarebbe comunque per lui in ogni caso negativa.

Per questo, il 20 agosto non dovremo stupirci di nulla.