Amore & Viaggi - Piccola storia di ordinario turismo - Portugal, obrigado
Hanno sentito ottime cose sul paese lusitano, ponte verso l’oceano e i nuovi mondi, dove si parla una lingua “simile al genovese”. Volo di linea da Linate per Lisbona: sei ore di ritardo. La capitale, tutta una favela e case popolari, presenta il leggendario "Barrio Alto" quasi distrutto da un incendio e molte rovine in abbandono. La luce è abbacinante; tra l’oceano e il Tago, i riflessi sono specchi ustori.
Si mangia tanto baccalà, dai locali escono le note del fado, la saudade è palpabile, il portoghese non somiglia affatto al genovese. Il castello di Sintra, classica meta per turisti, doveva essere aperto ma, in via del tutto eccezionale non lo è. Perché? Non si sa.
Ripartenza per Carvoeiro, nell’Algarve. Roberto e Genna, sulla loro “Punto” a noleggio, rimangono subito incastrati nel traffico del sabato sul ponte “25 aprile”, allora unico passaggio. Il ponte è zeppo di auto all’inverosimile. Costretti alla sosta forzata, sospesi sul Tago per un tempo infinito, temono un crollo delle strutture, anche se il disastro Morandi era ancora molto in là da venire; con un po’ di apprensione approdano alla riva opposta. Non esistono autostrade e il caldo è da forno a microonde.
E subito evidente che il borgo marinaro, quasi tutto ricostruito ad uso turistico, è in mano ai tedeschi e a qualche altro nordeuropeo. L’albergo ha una spiaggetta privata, quasi subito mangiata dalle onde e mai più rivista; i dintorni sono disseminati di buche non segnalate; i bagni di sole a bordo piscina non sono possibili, perché la preponderante clientela tedesca e scandinava colloca l’asciugamano sulla chaise- longue all’arrivo e la toglie a fine soggiorno, come a dire “l’ho prenotata” (sarebbe vietato, ma…).
Anche alla tv i canali sono quasi tutti tedeschi, e pure piuttosto spinti. Una rete locale ogni tanto trasmette la corrida portoghese. Ora, si può dire quello che si vuole sulla versione spagnola, che è cruenta e criminale eccetera, ma la logica di quella lusitana sfugge proprio. Pubblicizzano su tutti i manifesti che “the bulls are not killed” ( i tori non vengono uccisi) ma, a parte il fatto che gli animali vengono macellati subito dopo, non si capisce affatto lo scopo della messa in scena.
Il “torero” principale e un gruppo di aiutanti formano un trenino umano di corpi aderenti. Il capofila fa uno sberleffo e il toro, piccolo e con corna limate, carica. La combriccola incassa allegramente la finta cornata. Non si viene a capo di un minimo senso, ma a loro deve piacere: l’arena è stracolma.
Roberto e Genna sperimentano una teoria di ristoranti dal servizio lentissimo; in uno, soli avventori, attendono l’unica portata per un paio d’ore, senza apparente motivo. Provano a quello gestito da una coppia olandese. Dopo il primo tentativo, mollano il colpo: menu monocomposto da enormi bistecche. La bella olandesina, con larghi sorrisi, cerca di invogliare Roberto a tornare e l'avrebbe quasi convinto: Genna vigila e dirotta.
Altro locale sul picco del centro commerciale: serve ai tavoli una rude e grassoccia cameriera teutonica, dai modi spicci. La tedesca ti butta qualcosa sul tavolo e sparisce per delle mezz'ore. Il capitolo ristorazione è sempre penoso: migliorerà in futuro?
Tutti gli azulejos del mondo ballano davanti agli occhi: non è che siano troppi, però…