In questi giorni sono tornati alla ribalta i temi legati ai diritti civili delle minoranze con diverso orientamento sessuale. Mentre Orban si concede "il lusso" di fare leggi omofobe nella pancia dell’Europa, ancora una volta molle, in alcune repubbliche ex sovietiche, l’omofobia ha già assunto le dimensioni di una vera e propria caccia alle streghe.

Una di queste repubbliche è la Cecenia. Questo fazzoletto di terra, adagiato ai piedi della catena del Caucaso, confinante a sud con la Georgia e a nord con il Dagestan, è entrato nella cronaca degli ultimi vent’anni per due fatti di rilievo che hanno influenzato l’assetto geopolitico mondiale:

La guerra in Cecenia, viene attuata da Mosca fin dagli anni '90 per stroncare le mire separatiste della piccola repubblica caucasica.

La lunga scia di sangue

Ricordiamo che tra il 2002 e il 2004, ci furono due terribili fatti di sangue di matrice separatista e islamista: l’eccidio al teatro Dubrovka, a Mosca, in cui morirono 168 persone tra ostaggi e terroristi e la strage alla scuola di Beslan in Ossezia. Negli anni successivi, c'è la mesta parabola ascensionale di un uomo designato da Putin nel 2007; quell'uomo è Ramzan Kadirov e sarà destinato a governare con pugno di ferro l'intero paese fino ad oggi.


Grozny, la città di cartapesta.

Chi vent’anni fa ha seguito le cronache internazionali, ricorderà una Grozny ridotta in cenere, dall’esercito russo, durante la lunga guerra combattuta dalla Cecenia per la sua indipendenza dalla madre U.R.S.S. prima e dalla Russia poi. Una lunga contesa, costata centinaia di migliaia di morti e accelerata dalle forze centrifughe seguite alla dissoluzione dell’ex impero sovietico e che Mosca, sotto Putin e dopo la lassitudine geopolitica di Eltsin, non poteva più tollerare.

Grozny distrutta, negli anni della guerra- Wikimedia Commons

Kadyrov è l’uomo che Putin vuole in Cecenia per stroncare ogni velleità separatista ed eradicare, al tempo stesso, il nascente terrorismo che aveva compiuto il salto di qualità, insanguinando la Russia fino a Mosca. La nomina di Kadyrov è strategica per Putin. Gli consente, da un lato di porre fine alla mobilitazione militare russa che ha avuto costi esorbitanti in termini di perdite di vite umane e mezzi, dall'altro di rimanere nell'ombra, limitandosi ad assicurare a kadyrov il supporto di  intelligence, il trasferimento in Cecenia di corpi speciali scelti e il cospicuo  rifornimento di armi.

Sarà Kadyrov, d'ora in poi, a fare il lavoro sporco. Putin lo nomina presidente della Cecenia ed immette ingenti quantità di capitali nell'esangue repubblica caucasica, direttamente  nelle tasche di kadyrov. Questo assicurerà la fedeltà assoluta del nuovo regime a Mosca. Nasce un patto praticamente infrangibile.

La Grozny moderna di notte, foto di Vyacheslav Argenberg, 

Grozny, 20 anni dopo, grazie a quei soldi sembra rinascere. Ma è solo un'illusione. E' una città di cartapesta che nasconde l'orrore sotto le sue fondamenta e la cui luce ingannevole, non supera il quadrilatero ristretto del suo centro residenziale. Appena fuori, c' è la miseria della vera Cecenia.

Le opere faraoniche che kadyrov fa costruire hanno come unico scopo quello di promuovere all'estero l’immagine di un Cecenia in via di modernizzazione e di attirare nuovi capitali. Dietro quelle facciate inabitate, si nasconde, in realtà, una società immobile, con tutti i vizi della corruzione endemica e di una cultura atavica di tipo feudale, fondata sui vincoli familiari e un patriarcato intransigente,  di cui l’islamismo è solo l’emanazione religiosa .

Anna sapeva e aveva avvisato più volte l'occidente su Putin e la Cecenia

La parabola autoritaria di kadyrov, culmina con la violenza politica come mezzo di controllo sociale. Si susseguono i sospetti e le denunce, da parte delle ONG e organizzazioni internazionali, di rapimenti, torture ed esecuzioni sommarie nelle terribili carceri cecene. Questo patto di sangue, Mosca-Grosny, fu denunciato anche dalla giornalista della Novaja Gazeta, Anna Politkovskaja, nel suo libro La Russia di Putin. Anna verrà freddata per strada il 7 ottobre del 2006. Furono, fin da subito, sospettati di essere i mandanti di un sicario a contratto, Kadyrov e lo stesso Putin. Ad oggi non è ancora stata fatta giustizia per il suo assassinio. Putin ha sempre negato di essere in qualche modo coinvolto nella vicenda.

Anna scrive nel prologo del suo libro:

Questo libro parla di un argomento che non è molto in voga in occidente: parla di Putin senza toni ammirati. A scanso di equivoci, spiego subito perché tale ammirazione (di stampo prettamente occidentale e quanto mai relativa in Russia, dato che è sulla nostra pelle che si sta giocando la partita) faccia qui difetto. Il motivo è semplice: diventato presidente, Putin – figlio del più nefasto tra i servizi segreti del paese – non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà. E la soffoca, ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione. Questo libro spiega inoltre come noi, che in Russia ci viviamo, non vogliamo che ciò accada. Non vogliamo più essere schiavi, anche se è quanto aggrada all’Europa e all’America di oggi. Né vogliamo essere granelli di sabbia, polvere sui calzari altolocati - ma pur sempre calzari di tenente colonnello – di Vladimir Putin. Vogliamo essere liberi. Lo pretendiamo. Perché amiamo la libertà tanto quanto voi.

Era necessario fare questa lunga premessa, per capire quello che accade oggi in quel martoriato paese, la Cecenia,  e per capire come, malgrado Anna sia morta da 15 anni, Putin sia ancora al suo posto.

Kadyrov, dopo aver sbarazzato la Cecenia dai terroristi wahhabiti, commettendo atrocità anche sulla popolazione civile, ultima la stretta autoritaria sul suo paese. Lo blinda, reprime tutte le libertà di manifestazione ed espressione (grottesco che contemporaneamente al bavaglio mediatico, faccia costruire una gigantesca biblioteca universale simbolo di cultura universale) e assomma a sé il controllo di tutti i mezzi di informazione e dell'economia.

A questo punto, però,  ha bisogno di nuovi nemici interni per giustificare la sua presenza fatta passare per una presidenza “pro tempore” al servizio del paese.


In Cecenia, intanto inizia la caccia alle streghe

Tra i nuovi nemici, ci sono le minoranze appartenenti all’LGBT (Lesbian Gay Bisexual Transgender), raccontate in questo terribile documentario di Artè che consiglio ai minori solo se accompagnati da genitori, per la crudezza di alcune sequenze.  È in questo contesto che si assiste ad una vera e propria campagna di persecuzione. Prima con le minacce, poi con rapimenti e le torture allo scopo di individuare tutta la rete clandestina di persone di diverso orientamento sessuale. Le moderne tecniche di violenza politica si innestano, come in un ingranaggio perfetto, sui pregiudizi preesistenti nella società cecena, profondamente radicati nella coscienza della famiglia tradizionale.

Secondo questa concezione arcaica, avere un figlio omosessuale è considerato un vero e proprio disonore, estinguibile solo con la morte. Così viene perfezionato, secondo un diabolico calcolo politico, il perfetto sodalizio tra la delazione estorta con la tortura e i vincoli più retrogradi della società tradizionale cecena. Naturalmente non tutte le famiglie sono disposte ad accettare questa violenza, e quando accettano e difendono l'omosessualità dei propri figli, sono poi costrette a lasciare il paese clandestinament assieme a loro per non correre il rischio di ritorsioni e persecuzioni da parte delle autorità e dei vicini.

La gran parte della popolazione è fatta di gente per bene, fiera e ospitale, ma è divisa oggi tra il desiderio di voltare pagina per dimenticare due generazioni di guerre devastanti e la volontà di mantenere la propria identità e salvaguardare la memoria ferita di un intero popolo.

Tra questi conflitti interiori, Kadyrov sguazza. Vende al suo paese l’apparenza della pace mantenuta, nella realtà, con il terrore e inocula nelle menti (attraverso la propaganda martellante) l’effetto placebo di una prosperità di cui beneficiano solo in pochi. La nazione sprofonda così, gradualmente, nella narcosi e nell'amnesia collettive. La storia recente viene cancellata e riscritta. Il patto, tra kadyrov e il suo paese, diventa inscindibile andando persino oltre le intenzioni iniziali di Putin. Kadyrov sa bene che finché continua a rimanere nelle grazie di Mosca, può accrescere a dismisura il suo delirio di onnipotenza.

Per Putin, però, costantemente sotto la lente di ingrandimento internazionale per presunte violazioni dei diritti umani, Kadyrov sta diventando sempre più ingombrante. Anche se fa comodo a Putin, sembra essere sfuggito ad ogni controllo. Gli esisti potrebbero essere imprevedibili, con una nuova guerra in Cecenia o un golpe volto mettere al suo posto un personaggio forte internamente ma più docile e malleabile per Mosca.

Da alcuni anni, La LGBT russa (raccontata nel documentario), assieme ad organizzazioni clandestine in Cecenia, cerca di favorire l’espatrio di omosessuali nel mirino dei famigerati squadroni di picchiatori ceceni. Non si sa, ad oggi, quanti siano già stati uccisi o siano detenuti illegalmente nelle carceri cecene. Nel documentario ci sono dei video che testimoniano le aggressioni a omosessuali per strada, con atti di inaudita violenza e sprezzo totale della dignità umana. Sono centinaia gli omosessuali espatriati clandestinamente dalla Cecenia, attraverso la Russia. Ma si teme che il contagio omofobico possa peggiorare anche a Mosca (dal 2012 si assiste ad un irrigidimento progressivo delle libertà di manifestazione ed espressione), ragion per cui, ora, l’obbiettivo della LGBT è fare uscire dalla Russia le persone messe in salvo per destinarle a paesi come il Canada. Gli Stati Uniti, sotto Trump, si sono invece rifiutati di accogliere queste persone (oggi con Biden, tutto potrebbe cambiare). Un bello schiaffo, per chi tra gli attivisti di Mosca e Grozny rischia quotidianamente la propria vita per salvarne altre, anche nell’interesse della tanto decantata civiltà occidentale.


L'occidente dorme, come sempre

Tutto questo avviene alle porte d’Europa, mentre quest’ultima tergiversa tiepidamente se occorra o meno intraprendere azioni forti contro l’Ungheria di Orban. Sarebbe un dovere imparare la lezione della Cecenia e molto in fretta. Perché l’omofobia è radicata negli strati più profondi della cultura tradizionale, anche occidentale. E mentre ci rassicuriamo, pensando che faccia parte solo di isolati fatti di cronaca qualcuno, da anni, sta solleticando antichi istinti e pregiudizi, per buttarli sul campo dello scontro politico e ideologico. Gioco molto pericoloso le cui conseguenze potrebbero risultare devastanti per i progressi culturali e civili fin qui compiuti. L’ultimo suicidio di un ragazzo omosessuale, tiranneggiato ed esposto al pubblico ludibrio sui social (ultimo di una lunga serie), dimostra quanto questi sentimenti covino sotto la stoppa anche qui da noi.