Per il Governo l'economia italiana cresce, ma per Confindustria (e Cgil) non è così
"Le stime a rialzo del Fondo Monetario Internazionale sul Pil dell'Italia confermano l'efficacia della politica economica del Governo e ci spronano ad andare avanti su questa strada e fare ancora meglio. L'Italia nel 2023 crescerà più di Germania e Francia e più della media dell'eurozona.Sono risultati che costituiscono la base per la prossima legge di Bilancio, alla quale stiamo già lavorando. In uno scenario complesso continueremo a coltivare la linea dello sviluppo e della prudenza, dello slancio e della stabilità dei conti.L'Italia dimostra di essere resistente e dinamica. Le imprese e le famiglie hanno dato una risposta straordinaria".
Così Giorgia Meloni dichiarava in una nota diffusa da Palazzo Chigi il 25 luglio.
Neanche il tempo di esultare che dopo neppure pochi giorni arriva la doccia fredda, non dei cattivoni della Cgil, ma addirittura degli amiconi di Confindustria con il suo centro studi:
"Piatta la crescita dell'economia italiana, sorretta dai servizi, ma frenata dai tassi elevati. L'inflazione è meno alta, ma le Banche Centrali alzano i tassi ai massimi, e il credito è in ripiegamento perché troppo caro. In Italia i servizi sono trainati dal turismo, l'industria è debole, le costruzioni in calo. Gli investimenti sono frenati, i consumi incerti, mentre l'export di beni è in riduzione. La Germania è in recessione, secondo i previsori sarà di breve durata. Gli USA restano in crescita, viceversa la Cina rischia la deflazione.La dinamica del PIL italiano nel 2° trimestre 2023 è stimata molto debole, quasi ferma, come sintesi della flessione di industria e costruzioni e del proseguire della crescita (moderata) nei servizi. Le attese sul 3° sono poco più positive. Il prezzo del gas ha esaurito la caduta e galleggia poco sopra i minimi, ma l'inflazione scesa solo in parte ha indotto la BCE a rialzare ancora i tassi, peggiorando le condizioni creditizie. Mentre il traino estero all'export di beni si è arrestato.Le imprese italiane stanno subendo un continuo aumento del costo del credito (4,81% a maggio). Questo sta riducendo lo stock di credito bancario (-2,9% annuo a maggio). Le indagini Istat e Banca d'Italia mostrano un irrigidimento dei criteri di offerta (costi, ammontare, scadenze, garanzie), una domanda frenata dal costo eccessivo, una quota significativa di imprese che non ottiene credito (6,0%), soprattutto perché rinuncia per le condizioni onerose (56,3%).Servizi trainati dal turismo. La principale spinta nei servizi resta il turismo: la spesa degli stranieri in Italia a maggio registra un +13,2% sul 2022 e i passeggeri in aeroporto sono nel 2° trimestre sopra i livelli del 2019. A giugno, il PMI è sceso a 52,2 (da 54,0) indicando minor crescita e l'RTT index conferma la frenata; a luglio, la fiducia delle imprese di servizi ha recuperato i livelli di aprile.Industria debole. A maggio la produzione ha messo a segno un rimbalzo (+1,6%), ma da inizio anno si è comunque contratta molto (-1,9%; la manifattura -2,4%, con i mezzi di trasporto in controtendenza, +3,0%). Deboli le prospettive: a giugno il PMI manifatturiero ha continuato a ridursi, indicando forte calo (43,8 da 45,9) e RTT segnala flessione del fatturato; a luglio la fiducia delle imprese prosegue la caduta.Costruzioni in calo. Le costruzioni non stanno più trainando l'industria (30% di beni manifatturieri tra i consumi dell'edilizia). L'attività nel settore ha registrato il secondo calo consecutivo a maggio (-0,7%), con un -4,3% da inizio anno. RTT segnala a giugno un altro forte calo del fatturato. Segnali discordanti dai permessi di costruire nel 1° trimestre: cresce il comparto residenziale, cala il non residenziale.Investimenti frenati. La produzione di beni strumentali è in calo nei primi 5 mesi del 2023 (-2,6%). I dati qualitativi suggeriscono che nel 2° trimestre le condizioni per investire si sono deteriorate (saldo a -20,4 da -18,1), mentre le attese delle imprese sulla spesa per investimenti nei prossimi 6 mesi sono migliorate ma restano basse (20,4 da 14,9; indagine Banca d'Italia): pesa il credito più caro e difficile.Consumi incerti. L'ICC traccia una riduzione della spesa nel 2° trimestre (-0,6% annuo), sintesi del calo per i beni e della crescita dei servizi. E a luglio c'è stata una frenata della fiducia. Ma le temperature record potrebbero accrescere i consumi di elettricità (condizionatori). Un sostegno viene dal mercato del lavoro: ad aprile-maggio +0,4% il numero di occupati sul 1° trimestre (+184mila nei primi 5 mesi).Export di beni in calo. A maggio si è attenuata la riduzione dell'export italiano (-0,3% a prezzi correnti); pesa il forte calo della domanda dei paesi UE (-1,7%) mentre è buona la performance extra-UE (+1,2%). I beni strumentali registrano il calo più forte (-2,6%), dopo gli energetici. Prospettive negative per i prossimi mesi dagli ordini esteri delle imprese manifatturiere, che a luglio hanno toccato il minimo da gennaio 2021 (-20,6 il saldo). Recupera, solo in parte, il commercio mondiale a maggio (+0,3%).La Germania è tra i principali mercati per i beni italiani: le nostre imprese sono fornitrici di varie industrie tedesche, specie nell'automotive e soprattutto di beni intermedi; quando l'industria tedesca frena, si ha un impatto negativo sulla produzione italiana, ma la sua tenuta nel 2023 dovrebbe evitare impulsi negativi ulteriori. Tuttavia, la debolezza tedesca nei consumi potrebbe frenare il PIL italiano, colpendo sia il nostro export di beni finali, sia il turismo di tedeschi in Italia, che genera per noi un forte export di servizi".
Quali considerazione possiamo trarre da tutto questo?
La prima è che cosa abbia fatto Giorgia Meloni, in tema di politica economica, visto che nella legge di Bilancio - come da lei stessa ammesso in funzione dei tempi stretti per la sua approvazione - non c'era nulla, salvo il ripristino delle accise sulla benzina che ha avuto conseguenze negative sull'aumento dei prezzi, soprattutto quelli del carrello della spesa. Nonostante ciò, Meloni si è complimentata con se stessa.
La seconda considerazione è quanto l'Italia, viste le sue dimensioni e le sue peculiarità, sia condizionata dall'andamento economico di altri Paesi di cui, evidentemente, non può che andare a traino. Saremo una grande nazione, ma sarebbe bene, ogni tanto, ricordarci le nostre dimensioni e le nostre possibilità, in modo da evitare di fare brutte figure.
Poi, a voler esser pignoli, possiamo anche aggiungere al quadro di Confindustria, le perplessità della Cgil, riassunte dal segretario confederale Christian Ferrari, per spiegare le tanto criticate ragioni della mobilitazione lanciata dalla Confederazione per il prossimo autunno:
"La presenza delle organizzazioni sindacali nella cosiddetta "cabina di regia" del Pnrr, prevista dal recente decreto Fitto, ha – evidentemente - lo scopo di rispettare solo formalmente i regolamenti europei che richiedono il coinvolgimento delle parti sociali. Di fatto, però, si sta aggirando l'applicazione della norma di legge e dei protocolli sottoscritti con il precedente esecutivo, che stabiliscono una vera negoziazione e un confronto preventivo. A conferma di quanto sosteniamo, le due uniche riunioni della cabina di regia cui abbiamo partecipato, tra aprile e luglio, hanno confermato la sostanziale inutilità di quella sede. Sul Pnrr, oltretutto, c'è una situazione di totale mancanza di trasparenza non solo verso di noi, ma nei confronti di tutto il Paese.E adesso a che punto siamo? Al punto di partenza: dopo nove mesi il governo ha disfatto la precedente struttura di governance del Piano, accentrando tutte le decisioni a Palazzo Chigi, senza però compiere un solo passo avanti nella sua attuazione. Nel frattempo, stiamo ancora aspettando il pagamento della terza rata relativa al secondo semestre dell'anno scorso e si allungano ulteriormente i tempi per la quarta e quinta rata, legate all'anno in corso. Si continua a parlare, nella propaganda di governo, di “miracolo italiano”, ma se vediamo i dati della produzione industriale, dell'edilizia, dell'export e, soprattutto, la condizione materiale delle fasce popolari (tra inflazione, aumento dei mutui, questione salariale, welfare sempre più in difficoltà nel curare le ferite del nostro tempo), ci rendiamo conto che la realtà è ben diversa. In questo contesto il Pnrr assume un ruolo decisivo, visto che dalla sua attuazione dipendono i due terzi del nostro Pil da qui al 2026. Tanto per dare l'idea dello stato dell'arte, l'Italia ha speso complessivamente, tra gennaio e maggio 2023 (ultima rilevazione disponibile), appena 1,2 miliardi di euro dei 33,8 programmati per l'anno in corso.Per ottenere la terza rata si è dovuto rinunciare ad Asili, case della salute e così via. Rischiamo il fallimento di tutta la programmazione, a cominciare dai capitoli più rilevanti, quelli del piano sociale e occupazionale. La vicenda imbarazzante del mancato raggiungimento del target sui nuovi alloggi degli studenti – che per primi abbiamo denunciato, insieme all'Udu – è emblematica: per mesi il governo ha dichiarato di aver raggiunto l'obiettivo, salvo poi essere smentito dai controlli della Commissione. C'è anche un problema di credibilità e autorevolezza politica che vengono compromesse da atteggiamenti di questa natura. Ma poi pensiamo agli investimenti sulla sanità, in particolare su quella territoriale: siamo a un grado di avanzamento pari all'1% della spesa prevista. E a questo aggiungiamoci anche il definanziamento della spesa corrente previsto dall'ultimo Def. Tutto ciò mette in discussione non solo la missione 6 del Pnrr, ma la stessa tenuta del servizio sanitario nazionale.L'esecutivo deve dire al Parlamento e al Paese quali progetti rischiano di sforare il 2026, quali progetti saranno modificati e soprattutto per quali obiettivi. Non condividiamo l'ipotesi di eliminare investimenti e progetti per destinare risorse, ancora una volta a pioggia, alle imprese attraverso i crediti di imposta. Una ricetta – quella degli incentivi automatici - che si è dimostrata inefficace, che penalizza soprattutto il Sud e che premia le imprese “come sono e dove sono”. Mentre noi avremmo bisogno di una strategia industriale che trasformi in profondità la nostra struttura produttiva nella direzione della riconversione green, dell'innovazione tecnologica e del rilancio del mezzogiorno.La delega fiscale è una delle principali ragioni della mobilitazione che stiamo portando avanti. Il governo non solo non dà alcuna risposta alla piattaforma unitaria, ma prefigura una riforma che va esattamente nella direzione opposta: meno progressività, meno fedeltà fiscale, meno risorse per il welfare. Una controriforma che ci porta indietro di 50 anni, e che punta a sancire – definitivamente – la frammentazione e la corporativizzazione del sistema tributario italiano.Si mette in discussione la base del patto di cittadinanza e della stessa coesione sociale del Paese, che non può reggersi sulle sole spalle del lavoro dipendente e dei pensionati. C'è un'evasione di massa che sottrae ogni singolo anno qualcosa come cento miliardi alla finanza pubblica (l'equivalente di mezzo Pnrr), ci sono interi settori produttivi che registrano una propensione all'evasione del 70% e che – parafrasando le parole inaccettabili del ministro Salvini e della premier – tengono in ostaggio i contribuenti onesti e lo stesso futuro del Paese. In questo modo si mina la sostenibilità del welfare pubblico e universalistico.Del sud, poi, il governo non sembra interessarsene. A parole si dichiarano angosciati dall'inverno demografico e dallo spopolamento delle aree interne, nei fatti non fanno nulla per mettere nelle condizioni le ragazze e i ragazzi di costruirsi un futuro, tutelando innanzitutto il loro diritto a un lavoro sicuro e ben retribuito. Solo rilanciando la domanda interna nazionale, a partire dal Sud, e facendo leva sulla straordinaria interdipendenza tra l'economia settentrionale e quella meridionale, si può agganciare una prospettiva di crescita solida e duratura per tutti e proiettarci – come grande sistema Paese – in Europa e nel mondo. Ed è anche per questi motivi che quella contro l'autonomia differenziata non è una battaglia del solo meridione, ma una grande battaglia nazionale che deve coinvolgere e mobilitare tutti. Invece..."