Esteri

Gli uomini forti della Libia

Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj  è nato  a Tripoli nel 1960, da un'importante famiglia locale, che possedeva negozi e una grande quantità di terra. Suo padre, Muṣṭafā, ebbe incarichi politici sotto il re Idris.

Ha conseguito una laurea in Architettura e Urbanistica nel 1982 all'Università di Tripoli. All'inizio della sua carriera, ha lavorato come ingegnere gestionale del progetto nel Fondo di sicurezza sociale e ha lavorato come consulente d'ingegneria ed è stato membro di diverse commissioni specializzate di progettazione opere pubbliche. È stato anche membro fondatore di Tripoli's Engineering Consulting Office.

Durante il governo di Mu'ammar Gheddafi, al-Sarrāj ricopre incarichi ministeriali di secondaria importanza.

In seguito al rovesciamento di Gheddafi nel 2011, diviene membro di una commissione per il dialogo nazionale. Nel 2014, allo scoppio della seconda guerra civile, viene eletto membro della Camera dei rappresentanti (insediatasi poi a Tobruk) come candidato indipendente in rappresentanza di un collegio di Tripoli.

L'8 ottobre 2015, l'inviato speciale dell'ONU Bernardino León, incaricato di favorire la formazione di un governo di unità nazionale per superare la divisione della Libia tra due governi rivali insediati a Tripoli e Tobruk, annuncia che al-Sarrāj sarà nominato primo ministro del nuovo governo di unità nazionale, che dovrà ricevere il voto favorevole dei due parlamenti rivali (la Camera dei rappresentantidi Tobruk e il Nuovo Congresso Nazionale Generale a Tripoli).

Il 17 dicembre 2015 viene siglato  l'accordo di pace (detto LPA, Libyan Political Agreement) per la formazione del governo di unità nazionale negoziato sotto l'egida dell'ONU . Viene firmato a Skhirat (Marocco) da cui prenderà il nome.

 Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU riconosce all'unanimità, assieme agli Stati Uniti e  all'Unione europea, il GNA come nuovo governo di unità della Libia: come "l'unico governo legittimo in Libia".

L'Italia continua a sostenere il governo di Sarraj, riaprendo per prima tra i Paesi occidentali la propria ambasciata a Tripoli il 10 gennaio 2017, dopo due anni dalla sua chiusura.


Il generale Khalifa Haftar è  l'altro uomo forte della Cirenaica.

Prima sostenitore di Gheddafi poi suo nemico, ha combattuto in Sinai e Ciad, poi si è rifugiato negli Usa e ha ottenuto il passaporto. Prima di tornare in Libia ed essere nominato a capo dell'Esercito nazionale dal parlamento di Tobruk.

Khalifa Haftar è il generale a capo dell’Esercito nazionale libico, nominato dal parlamento di Tobruk che con i suoi uomini governa la Cirenaica.

È sostenuto dall’Egitto, dalla Russia e dagli Emirati Arabi Uniti, in contrapposizione all’uomo appoggiato dall’occidente e dall’Onu, Fayez al-Serraj, presidente del Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale.

Haftar è nato nel 1943, nella città di Agedabia, nella regione orientale della Libia.

Quando Khalifa Haftar nacque, la città natale era sotto controllo britannico a seguito della seconda guerra mondiale. Haftar intraprese la carriera militare e si diplomò all’Accademia di Bengasi, in Libia. Proseguì i sui studi in tattica militare in Egitto e Unione Sovietica.

Il suo primo passo da giovane ufficiale fu schierarsi con Muammar Gheddafi nel golpe che lo portò al potere nel 1969, rovesciando re Idris. Uomo d’armi, quattro anni dopo, il nome di Khalifa Haftar comparve in uno dei capitoli più importanti del Novecento, la guerra dello Yom Kippur.

Haftar guidò le truppe libiche in appoggio alla coalizione di paesi arabi che tentarono di respingere la controffensiva israeliana nel Sinai, dopo l’attacco a sorpresa di Egitto e Siria nell’ottobre del 1973.

Nel 1986, con il grado di colonnello, Haftar guidò le truppe libiche nell’offensiva contro il Ciad, in una guerra che durava già da circa un decennio.
Prigioniero – Haftar venne fatto prigioniero dalle forze ciadiane assieme a centinaia dei suoi uomini. Sconfitto sul campo, venne abbandonato da Gheddafi che lo destituì dal comando e ne chiese il processo. Aiutato dai servizi segreti americani, il colonnello scappò in Zaire, poi in Kenya dove militò in diversi gruppi anti-Gheddafi.

Infine, ottenne il visto americano e, attorno al 1990, si trasferì in Virginia, a Falls Church, una cittadina di 13 mila abitanti alla periferia di Washington. Gheddafi emise nei suoi confronti una condanna a morte per alto tradimento. Haftar ha vissuto in Virginia per vent’anni, ottenendo anche la cittadinanza americana.

 Data la prossimità della sua abitazione al quartier generale della Cia, si pensa che sia stato coinvolto dall’agenzia nei tentativi di assasinare Gheddafi.

Nel 2014, Haftar è rientrato dfinitivamente in Libia. 

Con la pandemia la diplomazia internazionale in Libia si è inabissata e parlano le armi che neppure il virus (pochi ancora i casi di contagio) e il Ramadan riescono a fermare. 

Il discorso dell’altra notte del generale Khalifa Haftar, per noi di mussoliniana memoria, potrebbe sancire la spaccatura definitiva tra Cirenaica e Tripolitania:

"Dichiaro di accettare il mandato del popolo libico per occuparmi  del Paese. Disconosco l'accordo di Skhirat del 2015 e di conseguenza anche il Parlamento di Tobruk."

Insomma... si è autoproclamato capo assoluto della Libia. 

E dunque o  la vittoria o la sconfitta.

Con l'annuncio alla tv al-Hadath, il generale ha mostrato di voler accelerare il percorso verso la conquista di Tripoli, avviato l'anno scorso con una serie di offensive contro gli uomini di Serraj, il cui governo è riconosciuto dalla comunità internazionale. 

Appena sabato scorso, Italia, Francia e Germania, con l'Unione europea, avevano fatto appello a Haftar e al-Serraj per una tregua umanitaria durante il Ramadan. 

Finora Haftar aveva rivendicato la sua legittimità a combattere da parte dei cittadini della Cirenaica, nell'Est del paese, ma ora ha lasciato intendere di poter contare anche sull'appoggio del resto del paese, anche se non ha specificato nessun dettaglio riguardo a tale sostegno.

Una mossa disperata?

In Libia si sta giocando una partita geopolitica anche e soprattutto tra Putin ed Erdoğan e nessuno dei due vuole perdere. La Russia in caso di vittoria otterrebbe il porto di Bengasi la cui importanza nel suo  "mare caldo" è facile da intuire.

Certo è  che quando l’Europa e il nostro ministero degli Esteri alzeranno la testa dall’emergenza epidemia, troveranno sulla sponda Sud una Libia ancora più lontana.

Autore Daniela Piesco
Categoria Esteri
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